Questo lato della verità – Dylan Thomas
Questo lato della verità
non puoi vedere, figlio mio,
re dei tuoi occhi azzurri
nell’accecante paese della gioventù,
ché tutto è disfatto,
sotto i cieli immemori,
d’innocenza e di colpa
prima che accenni a fare
un gesto appena del cuore o della testa,
è colto e sparso
nella tenebra avvolgente
come la polvere dei morti.
Bene e male, due modi
di andare incontro alla tua morte
per il mare che s’avventa,
re del tuo cuore nei ciechi giorni,
dileguano come respiro,
passano urlando attraverso me e te
e le anime di tutti gli uomini
nell’innocente
tenebra, e la dannata tenebra, e la buona
morte, e la cattiva morte, e poi
nell’ultimo elemento
volano come il sangue delle stelle,
come le lacrime del sole,
come la semenza della luna, macerie
e fuoco, la fuggente irruenza
del cielo, re dei tuoi sei anni.
E il tristo augurio,
fin dall’origine delle piante
e animali e uccelli,
acqua e luce, terra e cielo,
è gettato prima che tu ti muova,
e tutte le tue azioni e le parole,
ogni verità, ogni bugia,
muoiono in un amore che non giudica.
Traduzione di P. Bigongiari
Pagine
▼
28 febbraio 2018
Fò ha detto… - Paul-Jean Toulet
Opera di Andrey Remnev
Fò ha detto… - Paul-Jean Toulet
X
Fò ha
detto…….
“Del tappeto che tessiamo, come
il baco nel suo lenzuolo,
noi vediamo il rovescio solo:
tale è il destino dell’uomo.
Ma può darsi che ad altri occhi
l’altro lato dispieghi appieno
il segno, i fiori, la gioia
d’un mirabile disegno”.
Così Fò, che delle sue tisane
il nero oro inebria, o i suoi versi,
canta, e va di sghimbescio
in mezzo a due cortigiane.
“Del tappeto che tessiamo, come
il baco nel suo lenzuolo,
noi vediamo il rovescio solo:
tale è il destino dell’uomo.
Ma può darsi che ad altri occhi
l’altro lato dispieghi appieno
il segno, i fiori, la gioia
d’un mirabile disegno”.
Così Fò, che delle sue tisane
il nero oro inebria, o i suoi versi,
canta, e va di sghimbescio
in mezzo a due cortigiane.
Traduzione
di Sergio Solmi
Oh va’ via da quel lercio – Giose Rimanelli
Oh va’ via da quel lercio – Giose Rimanelli
Traduzione: Luigi Bonaffini
Oh va’ via
da quel lercio King Midas Saloon sull’autostrada
con le sue sguerce slabbrate minifucks fuggite di casa
e Reverend Spoon pastore di condoms e dildos che sparla
con strazio di AIDS e doomsday nel suo colmo bicchiere.
Ma questo a parte, tu sei stufo di birra di sbirri.
con le sue sguerce slabbrate minifucks fuggite di casa
e Reverend Spoon pastore di condoms e dildos che sparla
con strazio di AIDS e doomsday nel suo colmo bicchiere.
Ma questo a parte, tu sei stufo di birra di sbirri.
E adesso
ascoltami bene, Bambolino: scivola intatto
nello spacco di scalpo che ancor hai un rock o un rap,
metti un piede avanti a quell’altro e se la porta ti sbatte
alla schiena cacciandoti fuori non battere ciglio: hai solo
dopo tutto lasciato mammolette, primroses di sfatti giacigli.
Impala la notte: non vi trovi sbadigli ma maglie di stelle,
e non sbiancare d’orrore nell’improvviso tremore (terrore?)
che ti scaglia fuor del paniere per quel sadico muso di rossa
Corvette che di balzo sbuca dal buio e quasi t’annusa
rincorsa com’è da cops e strida e lampi di corte mitraglie.
Questa è la tiepida notte di Chicago, anni dopo Al Capone.
Non vedi quelle luci blugialle blurosa di pelle carnosa
che abbagliano tagliano visi risate di gente ch’esplode
su strade balconi, e quelle cosce muschiose che sfrusciano
ansiose d’amore? Effluvio di vita di morte nel cuore.
nello spacco di scalpo che ancor hai un rock o un rap,
metti un piede avanti a quell’altro e se la porta ti sbatte
alla schiena cacciandoti fuori non battere ciglio: hai solo
dopo tutto lasciato mammolette, primroses di sfatti giacigli.
Impala la notte: non vi trovi sbadigli ma maglie di stelle,
e non sbiancare d’orrore nell’improvviso tremore (terrore?)
che ti scaglia fuor del paniere per quel sadico muso di rossa
Corvette che di balzo sbuca dal buio e quasi t’annusa
rincorsa com’è da cops e strida e lampi di corte mitraglie.
Questa è la tiepida notte di Chicago, anni dopo Al Capone.
Non vedi quelle luci blugialle blurosa di pelle carnosa
che abbagliano tagliano visi risate di gente ch’esplode
su strade balconi, e quelle cosce muschiose che sfrusciano
ansiose d’amore? Effluvio di vita di morte nel cuore.
Letti
profondi, sensuali guanciali un po’ lustri di bava
palustre aggrumata come quel tempo, ad Amsterdam, in vuote
sere di bile cercando Van Gogh il quartiere degli Albatros
dei mariners affogando sonno libidine nell’acqua lustrale
dei canali per paura che addosso ti crollasse il mattino.
Su su, Bambolino: guarda quel mambo di gambe quelle mani
quei culi quell’oceano ondoso di anche di curve con labili
sibili passandoti accanto, e osserva mano a mano la mista
conserva di coppie con mano nella mano e le altre, spogliate
forse di affetti, annoiate e distratte, domandagli: come mai?
Ma subito il ritmo s’impiglia, il rap è finito ed un frale
vento di mare, perfido australe, ora sale dal lago si mette
ad urlare, ferito animale, nelle valli nevose della tua mente.
Forme d’ombre remote, di ore alterne, ora ruzzolano lente
dalle lanterne del Parco. E’ giorno di nuovo, e l’asma ritorna.
palustre aggrumata come quel tempo, ad Amsterdam, in vuote
sere di bile cercando Van Gogh il quartiere degli Albatros
dei mariners affogando sonno libidine nell’acqua lustrale
dei canali per paura che addosso ti crollasse il mattino.
Su su, Bambolino: guarda quel mambo di gambe quelle mani
quei culi quell’oceano ondoso di anche di curve con labili
sibili passandoti accanto, e osserva mano a mano la mista
conserva di coppie con mano nella mano e le altre, spogliate
forse di affetti, annoiate e distratte, domandagli: come mai?
Ma subito il ritmo s’impiglia, il rap è finito ed un frale
vento di mare, perfido australe, ora sale dal lago si mette
ad urlare, ferito animale, nelle valli nevose della tua mente.
Forme d’ombre remote, di ore alterne, ora ruzzolano lente
dalle lanterne del Parco. E’ giorno di nuovo, e l’asma ritorna.
Traduzione: Luigi Bonaffini
27 febbraio 2018
Legge elettorale
da “il manifesto” del 23 febbraio 2018, pag. 1
Legge elettorale
L’imbroglio dello statista al governo
Michele Prospero
L’imbroglio dello statista al governo
Michele Prospero
Il giudizio politico su Gentiloni, come quello su ogni altro leader, è
sempre una questione di opinione. Da affidare cioè al regno del
puramente relativo. Ma lascia perplessi la tendenza a rappresentarlo
come la figura dell’indispensabile, il solo degno di incarnare la
dignità delle istituzioni. Tutto ciò sfugge dal regno volatile della
doxa e si tramuta in un frettoloso attestato di autorevolezza di chi ha
in dote assolute qualità da statista.
Che nozione di democrazia coltivano i ceti dirigenti italiani?
Il presidente del consiglio in carica ha assunto sotto la propria responsabilità di governo la decisione di imporre la legge elettorale vigente e lo ha fatto per giunta con l’imposizione alle aule di 8 voti di fiducia. Solo per chi della democrazia formale coltiva i retaggi di antiche vedute sostanzialistiche, che inducono a considerarla una pura procedura manipolabile a discrezione, può ritenere che sia indifferente, nella valutazione della condotta politica del capo di governo, la forzatura delle regole del gioco e la loro sottrazione al libero dibattito parlamentare.
Che un sequestro della democrazia formale sia diventato un inopinato titolo di merito, per allungare la carriera istituzionale del suo artefice, la dice lunga sul declino della cultura delle regole e del senso della costituzione. Ognuno percepisce che le prossime elezioni di marzo si svolgono in un surreale clima di democrazia assolutamente minore. Si paventa sulla stampa il rischio di un errore materiale nell’espressione di voto che si abbatte come un catastrofico fenomeno di massa, indotto dalla irragionevole tecnica elettorale voluta a tutti i costi dal governo per escludere il voto disgiunto e congelare la sovranità del cittadino.
L’elezione, per colpa dell’esecutivo, perde ogni significato di vincolo fiduciario. Il voto a un candidato uninominale si trasferisce a quello delle liste collegate e il consenso a una lista bloccata si tramuta in schede da conteggiare per chi corre per aggiudicarsi il collegio. Un pasticcio: un laicista vota Bonino e magari elegge Fioroni. Questo congegno di contabilità forzosa provoca delle assurdità e degli effetti indesiderati che annichiliscono il significato stesso del voto in una poliarchia moderna.
Nessun legame sussiste più tra il cittadino e il deputato e il voto dato in un luogo si volatilizza in altre circoscrizioni sprigionando il suo effetto in una maniera del tutto imprevedibile.
Gentiloni ha disegnato un sistema politico retto con il meccanismo bizzarro del voto preterintenzionale, cioè ha inventato un autentico mostro giuridico, senza confronti in occidente, che elegge in maniera inconsapevole gli organi della rappresentanza. Le schede scatenano effetti non voluti, le urne si chiudono con esiti generali che cadono a casaccia. Sua maestà il caso: questo è il sistema politico costruito manu militare. Con la democrazia presa sul serio esso non mostra alcuna affinità.
Le prossime si annunciano come le peggiori consultazioni elettorali che si sono viste dal dopoguerra perché cadono nelle vicinanze del grado zero della qualità democratica della competizione. Liste bloccate e blindate, giochi di pluricandidature, voti rapiti da liste civetta che sono offerti in dote al partito maggiore, tutte opacità che segnano il trionfo di una rappresentanza senza soggetto e di un parlamento de-territorializzato.
La rappresentanza rimane sulla carta come un puro simulacro, ferita al cuore dalla tramutazione delle elezioni da momento di selezione-investitura della classe politica, in congegno passivo di approvazione delle liste stilate autoritativamente da capi in vista di docile obbedienza.
Che Napolitano o Prodi scambino l’artefice di una restrizione delle regole della rappresentanza democratica per una riserva della repubblica ha del sorprendente. Le loro celebrazioni di Gentiloni confermano però che la vicenda del centro sinistra tradizionale è storicamente esaurita e che la rottura che si è consumata con il Pd è stata semmai una mossa tardiva, non già un frutto dell’azzardo.
Che nozione di democrazia coltivano i ceti dirigenti italiani?
Il presidente del consiglio in carica ha assunto sotto la propria responsabilità di governo la decisione di imporre la legge elettorale vigente e lo ha fatto per giunta con l’imposizione alle aule di 8 voti di fiducia. Solo per chi della democrazia formale coltiva i retaggi di antiche vedute sostanzialistiche, che inducono a considerarla una pura procedura manipolabile a discrezione, può ritenere che sia indifferente, nella valutazione della condotta politica del capo di governo, la forzatura delle regole del gioco e la loro sottrazione al libero dibattito parlamentare.
Che un sequestro della democrazia formale sia diventato un inopinato titolo di merito, per allungare la carriera istituzionale del suo artefice, la dice lunga sul declino della cultura delle regole e del senso della costituzione. Ognuno percepisce che le prossime elezioni di marzo si svolgono in un surreale clima di democrazia assolutamente minore. Si paventa sulla stampa il rischio di un errore materiale nell’espressione di voto che si abbatte come un catastrofico fenomeno di massa, indotto dalla irragionevole tecnica elettorale voluta a tutti i costi dal governo per escludere il voto disgiunto e congelare la sovranità del cittadino.
L’elezione, per colpa dell’esecutivo, perde ogni significato di vincolo fiduciario. Il voto a un candidato uninominale si trasferisce a quello delle liste collegate e il consenso a una lista bloccata si tramuta in schede da conteggiare per chi corre per aggiudicarsi il collegio. Un pasticcio: un laicista vota Bonino e magari elegge Fioroni. Questo congegno di contabilità forzosa provoca delle assurdità e degli effetti indesiderati che annichiliscono il significato stesso del voto in una poliarchia moderna.
Nessun legame sussiste più tra il cittadino e il deputato e il voto dato in un luogo si volatilizza in altre circoscrizioni sprigionando il suo effetto in una maniera del tutto imprevedibile.
Gentiloni ha disegnato un sistema politico retto con il meccanismo bizzarro del voto preterintenzionale, cioè ha inventato un autentico mostro giuridico, senza confronti in occidente, che elegge in maniera inconsapevole gli organi della rappresentanza. Le schede scatenano effetti non voluti, le urne si chiudono con esiti generali che cadono a casaccia. Sua maestà il caso: questo è il sistema politico costruito manu militare. Con la democrazia presa sul serio esso non mostra alcuna affinità.
Le prossime si annunciano come le peggiori consultazioni elettorali che si sono viste dal dopoguerra perché cadono nelle vicinanze del grado zero della qualità democratica della competizione. Liste bloccate e blindate, giochi di pluricandidature, voti rapiti da liste civetta che sono offerti in dote al partito maggiore, tutte opacità che segnano il trionfo di una rappresentanza senza soggetto e di un parlamento de-territorializzato.
La rappresentanza rimane sulla carta come un puro simulacro, ferita al cuore dalla tramutazione delle elezioni da momento di selezione-investitura della classe politica, in congegno passivo di approvazione delle liste stilate autoritativamente da capi in vista di docile obbedienza.
Che Napolitano o Prodi scambino l’artefice di una restrizione delle regole della rappresentanza democratica per una riserva della repubblica ha del sorprendente. Le loro celebrazioni di Gentiloni confermano però che la vicenda del centro sinistra tradizionale è storicamente esaurita e che la rottura che si è consumata con il Pd è stata semmai una mossa tardiva, non già un frutto dell’azzardo.
Sinistra
Molti affermano che la Sinistra e la destra sono categorie superate, che
non esistono più, che sono reperti archeologici della politica.
Io
dico che la Sinistra e le Destra esistono eccome, soprattutto la Destra
che ha fatto proseliti anche a Sinistra su questioni importanti come il
lavoro, la sanità, l’accoglienza, l’uguaglianza, l’istruzione.
La
Sinistra ha la necessità di darsi una struttura solida dopo le illusioni
dei partiti “liquidi” con il capo al comando. La Sinistra
ha il dovere di dare rappresentanza a quell’enorme massa di persone un
tempo definito “proletariato” che, a dispetto di tutti i cosiddetti
politologi da talk show, esiste ancora, soffre, è sfruttato e umiliato.
Compito della Sinistra è ridare dignità a tutti quegli individui che sono “ultimi” solo per condizione economica ma non per pensiero, ambizioni, capacità di sognare.
Io ci sono!
Compito della Sinistra è ridare dignità a tutti quegli individui che sono “ultimi” solo per condizione economica ma non per pensiero, ambizioni, capacità di sognare.
Io ci sono!
I discorsi d’allora - Giuseppe Bartoli
I discorsi d’allora - Giuseppe Bartoli
Parlavamo di noi
quando la sera maturava
la stanchezza del giorno
e le contadine velate di nero
raccontavano al cielo
i guasti della pioggia
del vento e della guerra
Parlavamo di noi
all’acqua vergine di fonte
mescolando al grattare del mitra
la ragione di crederci uomini
e il diritto di lasciare
alle bestie da soma
il vanto pesante del basto
Parlavamo d’idee
mescolando bestemmie
ai rosari di pietra
per lasciare lontano l’inverno
che marciva nei solchi
e la fame
che uccideva le ultime favole
negli occhi dei bambini
Parlavamo di noi
cercando nei boschi la vita
e nei sentieri di piombo
le nostre radici di uomo
Parlavamo di noi
quando albe di fuoco
scoprivano i nostri fantasmi
già stanchi al primo mattino
già vecchi a soli vent’anni
Parlavamo del nostro domani
davanti alla salma nuda
d’un compagno caduto
e ad un ventre di terra
- che ingoiava -
le nostre tenere radici
lasciandoci in bocca
la voglia rabbiosa
d’un tempo migliore
in cui ancora sperare
Parlavamo di noi
quando la sera maturava
la stanchezza del giorno
e le contadine velate di nero
raccontavano al cielo
i guasti della pioggia
del vento e della guerra
Parlavamo di noi
all’acqua vergine di fonte
mescolando al grattare del mitra
la ragione di crederci uomini
e il diritto di lasciare
alle bestie da soma
il vanto pesante del basto
Parlavamo d’idee
mescolando bestemmie
ai rosari di pietra
per lasciare lontano l’inverno
che marciva nei solchi
e la fame
che uccideva le ultime favole
negli occhi dei bambini
Parlavamo di noi
cercando nei boschi la vita
e nei sentieri di piombo
le nostre radici di uomo
Parlavamo di noi
quando albe di fuoco
scoprivano i nostri fantasmi
già stanchi al primo mattino
già vecchi a soli vent’anni
Parlavamo del nostro domani
davanti alla salma nuda
d’un compagno caduto
e ad un ventre di terra
- che ingoiava -
le nostre tenere radici
lasciandoci in bocca
la voglia rabbiosa
d’un tempo migliore
in cui ancora sperare
26 febbraio 2018
Si era mossa una bestia - Pierre Reverdy
opera - Andrew Wyeth
Si era mossa una bestia - Pierre ReverdySi era mossa una bestia
Si udì uno zoccolo raspare il selciato sotto la paglia
Poi un grido
Aspettatevi quello che succederà
Qualcuno accostò l’occhio all’abbaino
e guardò
Era ancora notte ma il pendolo faceva oscillare
Il battente senza suonare le ore e dovemmo aspettare
L’alba per sapere di che si trattava
Gli anni passano veloci nella
mente oscura di un fanciullo
Dopo è solo un ricordo uniforme che si
trasforma
Tuttavia se si guarda
attentamente lo stesso punto
ci accorgiamo che non si è mosso
E’ un gioco di luci
Non vediamo più gli stessi colori
E perfino le orecchie saranno mutate
Che fitta cortina di fumo
Cerca di scostare le tenebre con le dita
e si è lacerato il volto e il cuore
Se avesse incontrato se stesso a certi incroci di strade
La ruota di una vettura di passaggio lo sfiorò e
la giacca rimase sporca di fango fino alla fine
Quanto tempo era passato da quando
Era uscito
Tra gli oggetti c’era un vuoto che avrebbe
voluto colmare e la testa fluttuava dall’uno all’altro
Se avesse voluto il vento
poteva trasportarlo al di sopra degli alberi
E invece tu rimani lì chino sul parapetto
come se aspettassi
La campana suona ma non ci chiama
Le sirene fanno gemere gli ardori
di un altro clima
Un’immagine
Bisogna spezzare tutti i ceppi e partire
con le mani avanti
Al fondo di sé c’é sempre un fanciullo infelice che
piange
Traduzione di Antonio Porta
Sulla scena - Marisa Papa Ruggiero
opera di Andrey Remnev
Sulla scena - Marisa Papa Ruggiero
Dal mio pennello
la stanza scende
sulla tela, non diversa
né uguale alla mia stanza
e dentro qui nel mezzo
dipingo un cavalletto ed una tela…
e sulla tela una scena,
poi me stessa
che dipinge una scena
(me stessa due volte)
o due me in una volta
entro cogli occhi dentro i miei
sulla scena,
mi guardo in ciò che manca
e ciò che manca è dipinto
e tuttavia esistente,
nato qui:
sulla scena
la stanza scende
sulla tela, non diversa
né uguale alla mia stanza
e dentro qui nel mezzo
dipingo un cavalletto ed una tela…
e sulla tela una scena,
poi me stessa
che dipinge una scena
(me stessa due volte)
o due me in una volta
entro cogli occhi dentro i miei
sulla scena,
mi guardo in ciò che manca
e ciò che manca è dipinto
e tuttavia esistente,
nato qui:
sulla scena
Gabriel Garcia Marquez - da Cent’anni di solitudine
opera di Ira Tsantekidou
Gabriel Garcia Marquez - da Cent’anni di solitudine
Diverse cose – Martha Collins
opera di Francine van Hove
Diverse cose – Martha CollinsDiverse cose potrebbero trovarsi in questa poesia.
Delle susine in un piatto di peltro.
Una lepre rossa, appesa per una zampa.
Un vaso di fiori. Tre bulbi di scalogno.
Un uomo potrebbe cantare, in vestaglia bordeaux,
la cintura dorata legata con un nodo piano.
Qualcuno potrebbe slegare il nodo.
Una donna potrebbe lanciare in aria una moneta d’oro.
Uno sconosciuto potrebbe dire la prossima frase,
è questo che ho tanto aspettato
e offrire un cestino colmo di mele
colte stamani, prima della pioggia.
Potrebbe piovere in questa poesia,
ma se piovesse l’uomo continuerebbe
a cantare mentre la sera bordeaux
cadrebbe sul lucido parquet.
Potrebbe nevicare in questa poesia.
ricordi come il cacciatore sbatteva gli stivali
prima di appoggiare il fucile nell’angolo
e appendere il berretto al gancio d’ottone?
La donna potrebbe aprire il sedile d’ebano
e trovarvi la canzone che cantava sempre sua madre.
Senti: la donna sta suonando.
L’uomo canta la canzone.
Intanto il cacciatore sta facendo un bagno caldo
nella vasca bianca dai piedi a zampa di leone.
Oppure il cacciatore è partito? E i suoi stivali
lasciano tracce nella neve fresca?
Quand’è che la donna mette a posto i fiori?
Prima che il cacciatore osservi
il disegno minuto sul vaso? Prima
che l’uomo cominci a sbucciare lo scalogno?
Adesso la donna taglia le mele
Nella ciotola blu. Ci potrebbe essere
un bambino che osserva cadere dal coltello
l’intatta spirale della buccia.
E poi potresti apparire tu.
Potresti essere il bambino con le guance rosse,
il cacciatore, o lo sconosciuto.
Potresti fermarti a cena.
Una ricetta provenzale. Una lepre
Rosso vivo, uccisa all’alba.
Scalogno. Brandy. Pepe, sale.
Una mela nella pentola.
Poesia, anno XV Luglio-Agosto, 2001 n. 163, Crocetti Editore
Tristian Corbiere - Rondello
Andrew Wyeth - Faraway
Tristian Corbiere - RondelloE’ buio, bimbo, ladro di scintille!
Non vi sono più notti, non vi sono più giorni.
Dormi…. e aspetta che vengan tutte quelle
che dicevano: Mai! Che dicevano: Sempre!
Senti i loro passi? Non sono pesanti;
oh, piedi, lievi! - l’Amore ha le ali….
E’ buio, bimbo, ladro di scintille!
Odi le loro voci?.... Le tombe sono sorde.
Dormi: ben poco pesa il tuo carico di semprevivi:
i tuoi amici, gli orsi, non verranno
a gettare la pietra sulle tue damigelle.
è buio, bimbo, ladro di scintille!
E ho rivisto il bimbo amico - Paul Verlaine
Zhao Kai Lin - Young girl portrait
E ho rivisto il bimbo amico - Paul VerlaineE ho rivisto il bimbo amico: m’è sembrato
che nel mio cuore s’aprisse l’ultima ferita,
quella il cui dolore più squisito m’assicura
d’una morte desiderabile in un giorno consolato.
La buona freccia acuta e la sua freschezza che dura!
In quegli istanti eletti, esse han destato
i sogni un po’ grevi dello scrupolo annoiato,
e tutto il mio sangue cristiano cantò la Canzone pura.
Odo ancora, vedo ancora! Legge del dovere
sì dolce! Alfine so che sia udire e vedere.
Odo, vedo sempre! Voce dei buoni pensieri!
Innocenza, avvenire! Savio e silenzioso,
come v’amerò, voi premute un istante,
belle piccole mani che chiuderanno i nostri occhi!
La festa dei granchi – David Malouf
opera di Ira Tsantekidou
La festa dei granchi – David MaloufImpossibile più vicino
di così. La lingua s’infila
nel più intimo, nel più soave
dei tuoi angolini. So tutto,
ora so tutto dei tuoi segreti.
Spaccato il guscio
più niente tra di noi.
Assaporo il chiaro di luna
Fattosi carne
e le bolle che salgono su
dalle acque di scolo. M’immergo
tra radici e bacche di mangrovie
sotto cenere di luna, al freddo.
Sapevo che la baia
era più d’un semplice scintillio,
sapevo che se esistevi
potevo penetrare
nella tua vita e giù in fondo
afferrare le tue abitudini e conoscendo
le nostre differenze giungere a pensare che siamo
una cosa sola.
Traduzione di Graziella Englaro
Poesia Anno II, numero 12, Dicembre 1989, Crocetti Editore
David Malouf - II
opera di Omar Ortiz
David Malouf - IIMeriggio abbagliante che non ci ha rivelato
come eravamo. Ha fatto udire diversi sé
più reali di qualsiasi
riflesso, forma,
con una loro vita,
un occhio simile a uno stelo,
un periscopio che misurava orizzonti,
chele capaci di staccarti un dito.
Mi è piaciuto. I profondi meriggi
con un palo e una rete, le più profonde
notti, quando inseguivo il sole tropicale.
E i nomi latini
Un pericoloso artigliare. Ti volevo tutto,
rude battere di colpi contro il respiro che manca
e il potere d’incantesimi verbali,
sul palmo della mano, sulla lingua.
Traduzione di Graziella Englaro.
Poesia, Anno II, numero m 12, dicembre 1989, Crocetti Editore
Le trottole nella mia testa – Nobert C. Kaser
opera di Wassily Kandinsky
Le trottole nella mia testa – Nobert C. Kaser Le trottole nella mia testa
hanno ripreso a vorticare
ancora sono fiorenti i lampioni
nel mattino dopo la notte
di plenilunio. Ho dormito
oltre il tempo e mia
lode è il sogno con
rabbia. Dalle croci delle vette
lungo le finestre abbaglianti
delle fattorie più alte
la luce solare che brucia la neve
scala lentamente
la conca di valle
ancora fioriscono
i lampioni le trottole
nella mia testa
hanno ripreso a vorticare
Traduzione di Gio Batta Bucciol
Poesia n. 234 Gennaio 2009 Crocetti Editore 2009
24 febbraio 2018
Frammenti poetici - Conceicao Lima
Maurice Denis - La bella al crepuscolo o Nudo di schiena. Collezione-privata.
Frammenti poetici - Conceicao Lima
Dopo
l’ardore della riconquista
non
cadde manna sui nostri campi.
E nella
dura traversata del deserto
imparammo
che la terra promessa era qui.
Ancora
e sempre qui.
Due
isole indomite da dissodare.
Il
cippo da innalzare
con
l’insepolta nudità dei nostri pugni.
Emergeremo
dal canto
come
dal suolo emerge il giovane granoturco
e nudi,
interi recupereremo
la
trasparenza del tempo iniziale.
Puri
ritorneremo ad abitare la poesia e la chiarità
perché
la parola risorga e il sogno non si perda.
I
Transitorio
è questo tempo che ti separa
senza
che ti lo sappia
transitorie
le acque, i tamburi sfondati
transitoria
la notte che alla notte segue
senza
vederti
Transitoria
la pallida bruma che
ti
nasconde da te
transitorio
il silenzio che occupa gli spazi
al di
là della tua bocca
transitorie
le pietre amare che sboccano
senza
permesso sul litorale dell’aurora, transitoria
l’angoscia
delle parole insanguinate nelle tue mani
Ostinato
pellegrino chi ti accompagna al di là di te?
Emissario
di fiumi dimenticati chi ti sente?
Oh,
sorde sono le onde di questo mare
sospeso
tra le
tue dita e il tuo sogno.
II
Ma chi sei che
cammini sulle ore?
Chi sei che lanci
furie sul deserto?
Chi sei che muori
sulla morte?
Sulla morte che ti
ergi, chi sei?
III
Uccello
dalle ali logore e scintillanti
che
liberi di notte il tempo prigioniero
sconvolgi
le ore e i magri granai
fustighi
tremante il volto dei mesi
la
colera è il tuo argomento
il
procedere il tuo fondamento.
A forza
di vivere
nella
vita entrasti
a forza
di sognare creasti il sogno
tu sei
la voce del sogno stesso
audace
contadino d’un tempo senza frutteti
[…]
Modellare
i giorni dei frutti maturi
questo
è il tuo progetto iniziato e annoso
l’argilla
della ragione che ti ha forgiato
la
sostanza pura che ti ha legato alla vita
quando
apprendesti i segreti della notte
e
penetrasti le tenebre come spada sfolgorante
Le tue
mani già tingono di porpora la sera
il
crepuscolo è l’istante supremo della chiarità
Chi farà
indietreggiare il tempo annunciato
da tamburi e acque
notte dopo notte
senza cessare?
Trad. A. Aletti
18 febbraio 2018
I colori e la luce – Enzo Montano
Jean Honoré Fragonard – L’altalena 2, 1767, olio su tela. Londra, Wallace Colletion.
I
colori e la luce – Enzo Montano
(L’altalena di
Fragonard)
non avrò
parole, non avrò pensieri,
ma nel petto mi salirà un infinito
amore e come uno zingaro andrò
lontano...
Arthur Rimbaud
Orchestra di luci,
colori e
vegetazione rigogliosa
in danza
con i raggi del sole
penetranti.
È un attimo fuggente:
gli occhi festeggiano
la mente tace senza
ricercare altro
se non quello che si
osserva:
una bella ragazza
seducente e provocante,
in altalena, la sua gonna
è frusciante e luminosa,
l’amante nascosto in un
cespuglio
sbircia le gambe e la
scarpetta in volo,
il marito sorridente fa
oscillare l’altalena.
L’immagine è leggera,
svolazzante, frivola;
Cupido e due amorini
sono spettatori immobili.
Sontuosa bellezza – Enzo Montano
Agnolo Bronzino - Ritratto di Lucrezia Panciatichi
Sontuosa
bellezza – Enzo Montano
(Lucrezia Panciatichi di
Agnolo Bronzino)
“Bellezza è verità, verità bellezza,” – questo solo
Sulla terra sapete, ed è quanto basta.
Sulla terra sapete, ed è quanto basta.
John
Keats – Ode a un’urna greca
Malinconico e fiero
insieme
appare lo sguardo di
Lucrezia
a me che con gli occhi
accarezzo
i fini lineamenti
perfetti nelle grazia
e nelle proporzioni
prima di tuffarmi
nell’azzurro grigio
degli occhi .
Vorrei conoscere i suoi
pensieri,
se legge altro dopo le
preghiere,
se l’ostentazione della
fede
tra le caste colonne
ioniche
è solo apparenza,
se i gioielli, gli abiti
bellissimi e
le agiatezza della vita
bilanciano la sua
bellezza sontuosa
e la fedeltà all’anziano
coniuge.
Alla fine ripenso le
parole del Vasari
sul ritratto: “privo
solo dello spirito”.
Complessa armonia – Enzo Montano
Agnolo Bronzino - Allegoria del trionfo di Venere, 1540/45, olio su tavola. National Gallery, Londra.
Complessa
armonia – Enzo Montano
(Allegoria del trionfo
di Venere del Bronzino)
E l'amore guardò il tempo e rise...
Si addormentò in un angolo di cuore
per un tempo che non esisteva.
Fuggì senza allontanarsi,
ritornò senza essere partito,
il tempo moriva e lui restava.
Luigi Pirandello
Luigi Pirandello
Armonia leggera,
complessità profonda;
interdizione, curiosità,
stupore, attesa.
Questo lo stato d’animo
di fronte
al perfetto manierismo del
Bronzino.
L’erotismo è gentile,
idealizzato,
etereo, sensuale quasi
per dovere.
Il bacio di Cupido e la
mano sul seno
di Venere che stringe il
pomo doro di Paride,
racconta la sensualità
dell’amore
di cui gioisce il putto
con i petali di rose.
Spesso l’amore è
inganno, dice la ragazza
con la mano inversa e
con la coda di scorpione,
mentre guarda Cupido
togliere il diadema
alla Dea, e lei un
freccia dalla faretra di lui.
L’inganno in perenne
attesa incombe
con i suoi trucchi e le
maschere
i malanni, gli
smarrimenti e le follie,
ma è il tempo il giudice
supremo
assieme al vero, capace
di strappare le finzioni,
di dissipare gli
incantesimi…
16 febbraio 2018
L’egoista – Enzo Montano
L’egoista – Enzo Montano
Forza di lacrime non sgorgate
solca il viso deturpato,
lo scava come punta d’aratro.
Poi la tarda notte nera
copre le cose e i dolori,
nasconde forme e profili;
ed esalta quel che è l’effimero.
La luce del mattino
penetra la tenda
restituisce forma e nomi propri
riporta sofferenze conosciute
e cancella quello che non è più
o mai forse lo è stato.
Lui è in gabbia, solo:
il mostro non lo molla,
gli martella testa e viso,
schizzi di cervello volano lontano,
materia estranea
si secca sul selciato e muore.
Rinchiuso nella sua gabbia d’oro
con le chiavi in tasca
incapace di un pensiero in volo
non spezza le catene
e lotta forse invano,
in attesa del tuffo dello squalo.
Altro non è più!
Tutti rincorrono nuovi sogni,
fuggito via anche il sole
stanco di tanto dolore
gioca col rosa delle nuvole.
Lui è sempre lì
appagato dalle torture
non esce dalla sua prigione:
è solo lui col mostro sorridente.
Lui è l’egoista.
Forza di lacrime non sgorgate
solca il viso deturpato,
lo scava come punta d’aratro.
Poi la tarda notte nera
copre le cose e i dolori,
nasconde forme e profili;
ed esalta quel che è l’effimero.
La luce del mattino
penetra la tenda
restituisce forma e nomi propri
riporta sofferenze conosciute
e cancella quello che non è più
o mai forse lo è stato.
Lui è in gabbia, solo:
il mostro non lo molla,
gli martella testa e viso,
schizzi di cervello volano lontano,
materia estranea
si secca sul selciato e muore.
Rinchiuso nella sua gabbia d’oro
con le chiavi in tasca
incapace di un pensiero in volo
non spezza le catene
e lotta forse invano,
in attesa del tuffo dello squalo.
Altro non è più!
Tutti rincorrono nuovi sogni,
fuggito via anche il sole
stanco di tanto dolore
gioca col rosa delle nuvole.
Lui è sempre lì
appagato dalle torture
non esce dalla sua prigione:
è solo lui col mostro sorridente.
Lui è l’egoista.
Le mille e una notte – da “Il facchino e le dame”
Pieter Claesz - still life with musical
Le mille e una notte – da “Il facchino e le dame”
C’era una volta nella città di Baghdad un uomo che di mestiere faceva il facchino e non aveva moglie. Un giorno che stava come al solito sulla piazza del mercato, sdraiato indolentemente per terra con il capo appoggiato sulla sua gerla, una donna si fermò davanti a lui. un lungo mantello di broccato di seta di Mossul l’avvolgeva completamente. portava in testa un turbante di un colore luminoso e ai piedi stivaletti scarlatti allacciati da trecce screziate e bordati da passamaneria multicolore.
Per un momento osservò il facchino in silenzio, poi sollevò il velo che le copriva il viso: apparvero allora due occhi neri delicatamente oblunghi tra la frangia delle lunghe ciglia che ombreggiavano le palpebre. “Le sue estremità sono preziose e delicate; tutte le qualità fisiche si sono dare appuntamento nella sua persona”, avevano l’abitudine di cantare quelli che si dilettavano a tessere le lodi.
(…)
Rivolgendosi al facchino, la bella sconosciuta disse con voce soave:
- Facchino, prendi la tua gerla e seguimi!
Il brav’uomo a tutta prima non credette alle sue orecchie e non si sentì sicuro della realtà di quelle parole se non quando si vide correre dietro alla gentile fanciulla, con la gerla sulle spalle.
- Giorno fortunato! giorno di prosperità! - mormorò tra sé, regolando prontamente il suo passo su quello di lei.
Arrivarono alla porta di una casa ed ella bussò. Un vecchio, palesemente cristiano, scese dal piano di sopra e venne ad aprirle. Lei gli consegnò una moneta d’oro in cambio di un orcio di quelli in cui di solito si mettono a bagno le olive. Ma questa volta l’orcio conteneva del vino chiaretto… Appena il prezioso recipiente ebbe trovato posto nel paniere, la bella fanciulla si voltò verso colui che l’accompagnava dicendo:
- Facchino, alza la tua gerle e seguimi!
- Va bene, forza – acconsentì quel bravo giovane.
E riprendendo la gerla la seguì, continuando a mormorare:
- Giorno propizio! giorno fecondo! giorno di allegrezza!...
La donna lo fece in seguito fermare davanti alla bottega di un fruttivendolo. Comprò mele di color chiaro, cotogne di Turchia, pesche di Khullan, mele moscatelle, gelsomini, ninfee di Siria, cetrioli delicati, limoni di Marakib, cedri reali, rose bianche, basilico, fiori di henné, camomilla fresca, violacciocche, mughetti, gigli, anemoni, viole, occhi di bue dai petali gialli, narcisi, fiori di melograno… Sistemò tutto nella gerla del facchino e quindi si recò dal macellaio.
- Tagliami dieci ratl di carne buona di pecora – gli disse consegnandogli la somma necessaria.
Il macellaio tagliò davanti a lei i pezzi che essa voleva, li incartò e li consegnò ai due clienti che si affrettarono a sistemarli nella gerla, insieme a un sacchetto di carbonella.
- Facchino - ordinò ancora la dama - prendi la tua gerla e seguimi!
L’altro, molto meravigliato, sollevò senza sforzo il suo fardello e se lo mise sulla testa; e la donna lo trascinò questa volta da un mercante di frutta secca, dove comprarono le migliori varietà di ghiottonerie dolci e salate, indispensabili sulla mensa di chi voglia far baldoria come si deve: ciat salato, olive snocciolate, olive dolci conservati nella calce, dragoncello, giuncata, formaggio di Siria, verdure conservate, salate e non. Sistemò tutto nella gerla e ancora una volta ordinò:
- Facchino prendi la tua gerla e seguimi!
Stavolta si trovarono davanti al negozio di un pasticciere, dove la bella compratrice si procurò un vassoio rotondo che colmò di tutte le varietà di dolciumi in mostra: bignè al burro, merletti di pasta di frittelle, torte farcite aromatizzate al muschio, caramello turco, paste di mandorle ai pistacchi, focacce ai datteri, semolino al latte, senza contare le ghiottonerie dai nomi evocatori – “fronzoli languidi di comare Salih”, “pettini d’ambra”, “dita di Zaynab”, “pane delle vedove”, “bocconcini del giudice”, “sgranocchia-e-ringrazia”,
“imbutini delle belle”, “castellucci di vento”… E il vassoio andò
anch’esso a prender posto sopra a quanto già era sistemato nella gerla.
- Mia cara signore - fece ironico il facchino - doveva avvertirmi all’inizio del percorso che avrei dovuto trasportare un vero e proprio carico di viveri! Se l’avessi saputo, mi sraei fatto scortare da qualche cavallo da tiro, o meglio ancora da un cammello, per comodità di trasporto!
La dama gli rispose con un sorriso e continuò per la sua strada. Arrivarono finalmente da un mercante di droghe e profumi, dove essa si procurò dieci flaconi di profumi ai fiori di zafferano e dieci flaconi di essenza di ninfea, due pan di zucchero, una bottiglia di acqua di rosa al muschio, grani d’incenso, legno di aloe, ambra, granelli di muschio, qualche lampioncino dotato di candele di cera, bugie della stessa specie e un assortimento di ceri di Alessandria. Riuscì ancora a sistemare tutto nella gerla e, voltandosi verso il facchino, ordinò per l’ultima volta:
- Facchino, prendi la tua gerla e seguimi!
(…)
C’era una volta nella città di Baghdad un uomo che di mestiere faceva il facchino e non aveva moglie. Un giorno che stava come al solito sulla piazza del mercato, sdraiato indolentemente per terra con il capo appoggiato sulla sua gerla, una donna si fermò davanti a lui. un lungo mantello di broccato di seta di Mossul l’avvolgeva completamente. portava in testa un turbante di un colore luminoso e ai piedi stivaletti scarlatti allacciati da trecce screziate e bordati da passamaneria multicolore.
Per un momento osservò il facchino in silenzio, poi sollevò il velo che le copriva il viso: apparvero allora due occhi neri delicatamente oblunghi tra la frangia delle lunghe ciglia che ombreggiavano le palpebre. “Le sue estremità sono preziose e delicate; tutte le qualità fisiche si sono dare appuntamento nella sua persona”, avevano l’abitudine di cantare quelli che si dilettavano a tessere le lodi.
(…)
Rivolgendosi al facchino, la bella sconosciuta disse con voce soave:
- Facchino, prendi la tua gerla e seguimi!
Il brav’uomo a tutta prima non credette alle sue orecchie e non si sentì sicuro della realtà di quelle parole se non quando si vide correre dietro alla gentile fanciulla, con la gerla sulle spalle.
- Giorno fortunato! giorno di prosperità! - mormorò tra sé, regolando prontamente il suo passo su quello di lei.
Arrivarono alla porta di una casa ed ella bussò. Un vecchio, palesemente cristiano, scese dal piano di sopra e venne ad aprirle. Lei gli consegnò una moneta d’oro in cambio di un orcio di quelli in cui di solito si mettono a bagno le olive. Ma questa volta l’orcio conteneva del vino chiaretto… Appena il prezioso recipiente ebbe trovato posto nel paniere, la bella fanciulla si voltò verso colui che l’accompagnava dicendo:
- Facchino, alza la tua gerle e seguimi!
- Va bene, forza – acconsentì quel bravo giovane.
E riprendendo la gerla la seguì, continuando a mormorare:
- Giorno propizio! giorno fecondo! giorno di allegrezza!...
La donna lo fece in seguito fermare davanti alla bottega di un fruttivendolo. Comprò mele di color chiaro, cotogne di Turchia, pesche di Khullan, mele moscatelle, gelsomini, ninfee di Siria, cetrioli delicati, limoni di Marakib, cedri reali, rose bianche, basilico, fiori di henné, camomilla fresca, violacciocche, mughetti, gigli, anemoni, viole, occhi di bue dai petali gialli, narcisi, fiori di melograno… Sistemò tutto nella gerla del facchino e quindi si recò dal macellaio.
- Tagliami dieci ratl di carne buona di pecora – gli disse consegnandogli la somma necessaria.
Il macellaio tagliò davanti a lei i pezzi che essa voleva, li incartò e li consegnò ai due clienti che si affrettarono a sistemarli nella gerla, insieme a un sacchetto di carbonella.
- Facchino - ordinò ancora la dama - prendi la tua gerla e seguimi!
L’altro, molto meravigliato, sollevò senza sforzo il suo fardello e se lo mise sulla testa; e la donna lo trascinò questa volta da un mercante di frutta secca, dove comprarono le migliori varietà di ghiottonerie dolci e salate, indispensabili sulla mensa di chi voglia far baldoria come si deve: ciat salato, olive snocciolate, olive dolci conservati nella calce, dragoncello, giuncata, formaggio di Siria, verdure conservate, salate e non. Sistemò tutto nella gerla e ancora una volta ordinò:
- Facchino prendi la tua gerla e seguimi!
Stavolta si trovarono davanti al negozio di un pasticciere, dove la bella compratrice si procurò un vassoio rotondo che colmò di tutte le varietà di dolciumi in mostra: bignè al burro, merletti di pasta di frittelle, torte farcite aromatizzate al muschio, caramello turco, paste di mandorle ai pistacchi, focacce ai datteri, semolino al latte, senza contare le ghiottonerie dai nomi evocatori – “fronzoli languidi di comare Salih”, “pettini d’ambra”, “dita di Zaynab”, “pane delle vedove”, “bocconcini del giudice”, “sgranocchia-e-ringrazia”,
- Mia cara signore - fece ironico il facchino - doveva avvertirmi all’inizio del percorso che avrei dovuto trasportare un vero e proprio carico di viveri! Se l’avessi saputo, mi sraei fatto scortare da qualche cavallo da tiro, o meglio ancora da un cammello, per comodità di trasporto!
La dama gli rispose con un sorriso e continuò per la sua strada. Arrivarono finalmente da un mercante di droghe e profumi, dove essa si procurò dieci flaconi di profumi ai fiori di zafferano e dieci flaconi di essenza di ninfea, due pan di zucchero, una bottiglia di acqua di rosa al muschio, grani d’incenso, legno di aloe, ambra, granelli di muschio, qualche lampioncino dotato di candele di cera, bugie della stessa specie e un assortimento di ceri di Alessandria. Riuscì ancora a sistemare tutto nella gerla e, voltandosi verso il facchino, ordinò per l’ultima volta:
- Facchino, prendi la tua gerla e seguimi!
(…)
Le mille e una notte – da “Storia del secondo derviscio qalandar”
Joachim Beuckelaer - Mercato
Le mille e una notte – da “Storia del secondo derviscio qalandar”
(…)
Ero appena arrivato al palazzo, che tutta la città venne sconvolta dalla notizia: il re aveva scelto un nuovo visir per governare il suo regno… e quel visir era una scimmia!
Appena fui alla presenza del re, mi prosternai a terra davanti a lui, lo salutai con tre profondi inchini, baciai la terra ai suoi piedi poi, davanti a tutti i dignitari del regno, mi sedetti sui calcagni come gli esseri umani. Davanti a un tale sfoggio di buone maniere, i presenti non nascosero la loro ammirazione, e il re meno di chiunque altro:
“Ecco qualcosa che ha decisamente del prodigioso!” esclamò.
A questo punto congedò tutti gli emiri e tutti gli altri presenti per restare solo con me, autorizzando a rimanere in nostra compagnia solo un domestico e un giovane buffone di corte.
Poi gridò un ordine e venne portata una tavola ben fornita. Poiché mi faceva cenno di partecipare al suo pasto, mi affrettai ad alzarmi, baciai rispettosamente la terra per ringraziarlo dell’invito e, dopo essermi lavato sette volte le mani, presi posto accanto a lui, sdendomi ancora una volta sui calcagni. Mi servii osservando scrupolosamente le migliori regole di educazione. Finalmente, quando ebbi terminato, afferrai un calamo, lo immersi nell’inchiostro e, appoggiandomi sul bordo della tavola, scrissi questi versi:
Accorri presso le alzavole che oziano
nel bagno primaverile di un pinzimonio…
Pronuncia l’elogio funebre della frittura
e il penegerico dei filetti di carne alla gliglia!
Celebra la memoria delle pernici, volatili
che per mio conto non ho smesso di onorare;
e non dimenticar di parlare
di pulcini fritti e di pollastre!
Rimpianti del mio cuore
per due piatti di pesce accompagnati
da due focacce di pane
dai dolci aromi!
Nei fondi tegami le uova
aprono il grande occhio triste,
desolate di aver dovuto finire i loro giorni
– sorte crudele! – su di un braciere ardente…
Dio, che ottima grigliata!
E dopo quel piacere rinfrescante
di un briciolo di insalata intinta
nell’aceto delle scodelle!
Ah, non mi tormenti la fame senza lasciarmi
trovar rifugio presso la zuppa di frumento,
buona se mangiata al chiarore dei cerchi d’oro
che scintillano su braccia di donna!
Pazienza, anima mia, perché la fortuna
si compiace di imprevisti cambiamenti.
oggi ti condanna al digiuno,
domani ti libera da qualsiasi pensiero…
Il re lesse quel che avevo appena scritto e rifletté a lungo. La scena cui aveva assistito era decisamente straordinaria… Portarono via le pietanze e ci presentarono le bevande, in nappi di vetro appositamente fabbricati per quell’uso. Il re bevve per primo, poi mi tese la coppa. Baciai la terra davanti a lui, immersi le labbra nella bevanda e mi affrettai a scrivere questi versi per lui:
Mi hanno bruciato con tizzoni ardenti,
impazienti di ottenere da me confessioni,
ma saldo mi hanno trovato
nell’avversità
– una discrezione per la quale ho meritato
una quantità di elogi…
e di posare spesso le labbra
sulle labbra delle belle…
Questa volta i miei versi ebbero di mettere il re in un vero e proprio imbarazzo… “E’ mai possibile” aveva l’aria di pensare “che così bei modi, che un’istruzione così perfetta siano riuniti davvero nella sua persona? Se solo si trovassero in un essere umano, non potrebbero non fare di lui il personaggio più straordinario del suo tempo…”
Mi presentò una scacchiera e a cenni mi chiese se ero disposto a fare una partita con lui. Con un movimento della testa acconsentii, ancora una volta baciai la terra e cominciai a disporre i pezzi sulla scacchiera, prima sul suo lato poi sul mio. Persi la prima partita, riuscendo tuttavia a far capire al mio avversario che non ero del tutto spiazzato davanti ai suoi attacchi, poi vinsi la seconda e la terza, il che no mancò di colmarlo di stupore. Alla fine presi di nuovo la penna e gli offrii questi versi.
I due eserciti hanno combattuto con accanimento,
un’ora dopo l’altra, per tutto il giorno,
e col passar del tempo, il loro ardore
non ha fatto che aumentare.
Ma adesso che l’ombra della notte
cala su di loro, costretti a dormire dove sono,
i soldati nemici si accingono
a dividersi fraternamente lo stesso letto.
Per la meraviglia e lo stupore, davanti a quell’ultimo segno di delicatezza, il re per poco non rinase senza fiato.
(…)