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12 aprile 2018

da Storia di O - Pauline Réage

opera di Fabian Perez
da Storia di O - Pauline Réage

(…)
Era René, che voleva sapere se la cameriera se ne fosse andata. Sì, era appena andata via, dopo aver servito la colazione, e sarebbe tornata soltanto l'indomani mattina. - Hai incominciato la cernita dei vestiti? - disse René. - Stavo appunto per cominciare - rispose - ma mi sono alzata molto tardi, ho fatto un bagno, e ho finito soltanto a mezzogiorno. - Sei vestita? - No, ho addosso la camicia da notte e la vestaglia. - Posa l'apparecchio, togliti la vestaglia e la camicia. - O ubbidì, così emozionata che l'apparecchio scivolò dal letto su cui l'aveva posato sul tappeto bianco, e lei temette di aver interrotto la comunicazione.
No, non era stata interrotta. - Sei nuda? - riprese René. - Sì - disse, - ma da dove mi telefoni? - Lui non rispose alla sua domanda, aggiunse soltanto: - Hai ancora il tuo anello? - Aveva ancora il suo anello. Allora lui le disse di restare così com'era finché non fosse tornato e di preparare la valigia dei capi di vestiario di cui doveva sbarazzarsi. Poi riattaccò. Era l'una passata, e il tempo era bello. Un po' di sole illuminava, sul tappeto, la camicia bianca e la veste di velluto a coste, verde pallido come i gusci di mandorle fresche che O aveva lasciato cadere sul pavimento dopo averle estratte. Le raccolse e andò a portarle nella stanza da bagno, per riporle in un armadio. Nel passare, uno degli specchi fissati su una porta che, insieme con un altro specchio che copriva parte della parete e un'altra porta ugualmente coperta di specchi, formava un grande specchio a tre facce, le rimandò improvvisamente la sua immagine: aveva su di sé soltanto le pantofole di cuoio dello stesso verde della vestaglia, leggermente più scure delle pianelle che portava a Roissy, e l'anello. Non aveva più né collare né bracciali di cuoio, ed era sola, non avendo che se stessa come spettatrice. Eppure mai si era sentita più totalmente in balia di una volontà che non era la sua, più totalmente schiava, più felice di esserlo. Quando si chinò per aprire un cassetto, vide i suoi seni tremolare dolcemente. Impiegò quasi due ore a disporre sul letto i capi di vestiario che poi avrebbe dovuto riporre nella valigia. Per quanto riguardava le mutandine, non ebbe esitazione, e ne fece un mucchietto presso una delle colonnine del letto. La stessa sorte toccò ai reggiseni, non uno solo rimase: tutti avevano bretelle che s'incrociavano sulla schiena, o si allacciavano sui fianchi. Capì però in che modo avrebbe potuto farsi fare dei reggiseni sullo stesso modello, spostando la chiusura sul davanti, in mezzo, proprio sotto il solco dei seni. Neppure le cinture costituirono un problema, ma esitò ad aggiungere al mucchio, il bustino di broccato rosa, che si allacciava sulla schiena ed era molto simile al corsetto che portava a Roissy. Lo mise da parte, sul comò. René avrebbe deciso. Avrebbe deciso anche per i maglioni, che s'infilavano tutti dalla testa, ed erano chiusi all'altezza del collo, e quindi non potevano essere aperti. Ma era possibile sollevarli, dalla vita in su, e così scoprire i seni. Tutte le sottovesti, invece, si ammucchiarono sul letto. In un cassetto del comò rimase una sottogonna di faglia nera ornata di un volante pieghettato e di piccoli pizzi di Valenciennes, da indossarsi sotto una gonna plissettata da giorno, di stoffa nera troppo leggera perché non fosse trasparente. Avrebbe avuto bisogno di altre sottogonne, chiare e corte. Si avvide che avrebbe anche dovuto rinunciare a portare abiti che l'inguainassero, oppure scegliere modelli di vesti-mantelli abbottonati dall'alto in basso, e in questo caso far fare della biancheria intima che si aprisse contemporaneamente all'abito. Per le sottovesti, era facile, ed anche per i vestiti, ma in quanto alla biancheria intima, che cosa avrebbe detto la sua sarta? Le avrebbe spiegato che voleva una fodera asportabile, perché era freddolosa. Ed era davvero freddolosa, e improvvisamente si chiese come avrebbe potuto sopportare, così poco coperta, fuori di casa, il freddo invernale. Finalmente, quando ebbe finito, conservando del suo guardaroba solo le camicette, tutte che si abbottonavano sul davanti, la gonna nera pieghettata, i mantelli naturalmente, e il tailleur con cui era tornata da Roissy, andò a preparare il tè. In cucina, accese il termosifone; la cameriera non aveva riempito il cesto di legna per il fuoco nel salotto, ed O sapeva che al suo amante sarebbe piaciuto trovarla la sera nel salotto, accanto al fuoco. Riempì il cesto attingendo alla cassa di legna posta nel corridoio, lo portò vicino al caminetto del salotto, e accese il fuoco. Così, rannicchiata in una grande poltrona, col vassoio del tè accanto, aspettava che egli rientrasse, ma questa volta l'aspettava, come lui aveva ordinato, nuda. La prima difficoltà che O incontrò fu nel suo lavoro. Dire difficoltà è forse un'esagerazione. Stupore sarebbe un termine migliore. O lavorava nel reparto moda di un'agenzia fotografica. Ciò significava che eseguiva, nello studio dove esse dovevano posare per ore, le fotografie delle ragazze più esotiche e più belle, scelte dai creatori di moda per presentare i loro modelli. Ci si stupì che O avesse prolungato le sue vacanze fino ad autunno inoltrato, e che inoltre si fosse assentata proprio nel periodo di maggiore attività, quando la nuova moda stava per essere lanciata. Ma questo non era nulla. Ci si stupì soprattutto che fosse così cambiata. A un primo sguardo, era difficile dire in che cosa, ma nondimeno era possibile avvertirlo, e più si guardava più ci si convinceva. Si teneva più eretta, aveva lo sguardo più chiaro; ma quello che colpiva soprattutto era la perfezione della sua immobilità, e la misura dei suoi gesti. Era sempre stata vestita sobriamente, come lo sono le ragazze che lavorano, quando la loro attività è di tipo maschile, ma, per quanto si dimostrasse abile, e per quanto le altre ragazze, che costituivano l'oggetto stesso del suo lavoro, avessero come occupazione e vocazione gli abiti e i loro accessori, non impiegarono molto a notare ciò che avrebbe potuto passare inosservato ad altri occhi. I maglioni indossati al contatto con la pelle, e che disegnavano così dolcemente i contorni dei seni - René aveva finalmente permesso i maglioni - le gonne pieghettate così facili a vorticare, diventarono un po' come una discreta uniforme, tanto spesso li portava. - Fa molto ragazzina - le disse un giorno, in tono malizioso, un'indossatrice bionda dagli occhi verdi, con gli zigomi alti degli slavi e il loro colorito olivastro. - Ma - aggiunse - fa male a portare le giarrettiere, si rovinerà le gambe. - Questo perché O, senza badarvi, si era affrettatamente seduta davanti a lei, e di sbieco, sul bracciolo di una grande poltrona di cuoio; il suo gesto le aveva sollevato la gonna. L'altra ragazza aveva notato il bagliore della coscia nuda al di sopra della calza arrotolata che copriva il ginocchio ma si fermava proprio sopra. O l'aveva vista sorridere, in modo così strano che si chiese che cosa avesse immaginato, o forse capito, in quel momento. Si tirò le calze una dopo l'altra, per mantenerle tese, cosa che era più difficile di quando arrivavano a metà coscia ed erano sorrette dai reggicalze, e rispose a Jacqueline, come per giustificarsi: - È pratico. - Pratico per che cosa? - disse Jacqueline. - Non mi piacciono le cinture - rispose O. Ma Jacqueline non la stava ascoltando e guardava l'anello di ferro.
(…)

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