opera di Fabian Perez
da Storia di O - Pauline Réage
(…)
Era René, che voleva
sapere se la cameriera se ne fosse andata. Sì, era appena andata via, dopo aver
servito la colazione, e sarebbe tornata soltanto l'indomani mattina. - Hai
incominciato la cernita dei vestiti? - disse René. - Stavo appunto per
cominciare - rispose - ma mi sono alzata molto tardi, ho fatto un bagno, e ho finito
soltanto a mezzogiorno. - Sei vestita? - No, ho addosso la camicia da notte e
la vestaglia. - Posa l'apparecchio, togliti la vestaglia e la camicia. - O
ubbidì, così emozionata che l'apparecchio scivolò dal letto su cui l'aveva
posato sul tappeto bianco, e lei temette di aver interrotto la comunicazione.
No, non era stata
interrotta. - Sei nuda? - riprese René. - Sì - disse, - ma da dove mi telefoni?
- Lui non rispose alla sua domanda, aggiunse soltanto: - Hai ancora il tuo
anello? - Aveva ancora il suo anello. Allora lui le disse di restare così
com'era finché non fosse tornato e di preparare la valigia dei capi di
vestiario di cui doveva sbarazzarsi. Poi riattaccò. Era l'una passata, e il
tempo era bello. Un po' di sole illuminava, sul tappeto, la camicia bianca e la
veste di velluto a coste, verde pallido come i gusci di mandorle fresche che O
aveva lasciato cadere sul pavimento dopo averle estratte. Le raccolse e andò a
portarle nella stanza da bagno, per riporle in un armadio. Nel passare, uno
degli specchi fissati su una porta che, insieme con un altro specchio che
copriva parte della parete e un'altra porta ugualmente coperta di specchi,
formava un grande specchio a tre facce, le rimandò improvvisamente la sua
immagine: aveva su di sé soltanto le pantofole di cuoio dello stesso verde
della vestaglia, leggermente più scure delle pianelle che portava a Roissy, e
l'anello. Non aveva più né collare né bracciali di cuoio, ed era sola, non
avendo che se stessa come spettatrice. Eppure mai si era sentita più totalmente
in balia di una volontà che non era la sua, più totalmente schiava, più felice
di esserlo. Quando si chinò per aprire un cassetto, vide i suoi seni tremolare
dolcemente. Impiegò quasi due ore a disporre sul letto i capi di vestiario che
poi avrebbe dovuto riporre nella valigia. Per quanto riguardava le mutandine,
non ebbe esitazione, e ne fece un mucchietto presso una delle colonnine del
letto. La stessa sorte toccò ai reggiseni, non uno solo rimase: tutti avevano
bretelle che s'incrociavano sulla schiena, o si allacciavano sui fianchi. Capì
però in che modo avrebbe potuto farsi fare dei reggiseni sullo stesso modello,
spostando la chiusura sul davanti, in mezzo, proprio sotto il solco dei seni.
Neppure le cinture costituirono un problema, ma esitò ad aggiungere al mucchio,
il bustino di broccato rosa, che si allacciava sulla schiena ed era molto
simile al corsetto che portava a Roissy. Lo mise da parte, sul comò. René
avrebbe deciso. Avrebbe deciso anche per i maglioni, che s'infilavano tutti
dalla testa, ed erano chiusi all'altezza del collo, e quindi non potevano
essere aperti. Ma era possibile sollevarli, dalla vita in su, e così scoprire i
seni. Tutte le sottovesti, invece, si ammucchiarono sul letto. In un cassetto
del comò rimase una sottogonna di faglia nera ornata di un volante pieghettato
e di piccoli pizzi di Valenciennes, da indossarsi sotto una gonna plissettata
da giorno, di stoffa nera troppo leggera perché non fosse trasparente. Avrebbe
avuto bisogno di altre sottogonne, chiare e corte. Si avvide che avrebbe anche
dovuto rinunciare a portare abiti che l'inguainassero, oppure scegliere modelli
di vesti-mantelli abbottonati dall'alto in basso, e in questo caso far fare
della biancheria intima che si aprisse contemporaneamente all'abito. Per le
sottovesti, era facile, ed anche per i vestiti, ma in quanto alla biancheria
intima, che cosa avrebbe detto la sua sarta? Le avrebbe spiegato che voleva una
fodera asportabile, perché era freddolosa. Ed era davvero freddolosa, e
improvvisamente si chiese come avrebbe potuto sopportare, così poco coperta, fuori
di casa, il freddo invernale. Finalmente, quando ebbe finito, conservando del
suo guardaroba solo le camicette, tutte che si abbottonavano sul davanti, la
gonna nera pieghettata, i mantelli naturalmente, e il tailleur con cui era
tornata da Roissy, andò a preparare il tè. In cucina, accese il termosifone; la
cameriera non aveva riempito il cesto di legna per il fuoco nel salotto, ed O
sapeva che al suo amante sarebbe piaciuto trovarla la sera nel salotto, accanto
al fuoco. Riempì il cesto attingendo alla cassa di legna posta nel corridoio,
lo portò vicino al caminetto del salotto, e accese il fuoco. Così, rannicchiata
in una grande poltrona, col vassoio del tè accanto, aspettava che egli
rientrasse, ma questa volta l'aspettava, come lui aveva ordinato, nuda. La
prima difficoltà che O incontrò fu nel suo lavoro. Dire difficoltà è forse
un'esagerazione. Stupore sarebbe un termine migliore. O lavorava nel reparto
moda di un'agenzia fotografica. Ciò significava che eseguiva, nello studio dove
esse dovevano posare per ore, le fotografie delle ragazze più esotiche e più
belle, scelte dai creatori di moda per presentare i loro modelli. Ci si stupì
che O avesse prolungato le sue vacanze fino ad autunno inoltrato, e che inoltre
si fosse assentata proprio nel periodo di maggiore attività, quando la nuova
moda stava per essere lanciata. Ma questo non era nulla. Ci si stupì
soprattutto che fosse così cambiata. A un primo sguardo, era difficile dire in
che cosa, ma nondimeno era possibile avvertirlo, e più si guardava più ci si
convinceva. Si teneva più eretta, aveva lo sguardo più chiaro; ma quello che
colpiva soprattutto era la perfezione della sua immobilità, e la misura dei
suoi gesti. Era sempre stata vestita sobriamente, come lo sono le ragazze che
lavorano, quando la loro attività è di tipo maschile, ma, per quanto si
dimostrasse abile, e per quanto le altre ragazze, che costituivano l'oggetto
stesso del suo lavoro, avessero come occupazione e vocazione gli abiti e i loro
accessori, non impiegarono molto a notare ciò che avrebbe potuto passare
inosservato ad altri occhi. I maglioni indossati al contatto con la pelle, e
che disegnavano così dolcemente i contorni dei seni - René aveva finalmente
permesso i maglioni - le gonne pieghettate così facili a vorticare, diventarono
un po' come una discreta uniforme, tanto spesso li portava. - Fa molto
ragazzina - le disse un giorno, in tono malizioso, un'indossatrice bionda dagli
occhi verdi, con gli zigomi alti degli slavi e il loro colorito olivastro. - Ma
- aggiunse - fa male a portare le giarrettiere, si rovinerà le gambe. - Questo
perché O, senza badarvi, si era affrettatamente seduta davanti a lei, e di
sbieco, sul bracciolo di una grande poltrona di cuoio; il suo gesto le aveva
sollevato la gonna. L'altra ragazza aveva notato il bagliore della coscia nuda
al di sopra della calza arrotolata che copriva il ginocchio ma si fermava
proprio sopra. O l'aveva vista sorridere, in modo così strano che si chiese che
cosa avesse immaginato, o forse capito, in quel momento. Si tirò le calze una
dopo l'altra, per mantenerle tese, cosa che era più difficile di quando
arrivavano a metà coscia ed erano sorrette dai reggicalze, e rispose a Jacqueline,
come per giustificarsi: - È pratico. - Pratico per che cosa? - disse
Jacqueline. - Non mi piacciono le cinture - rispose O. Ma Jacqueline non la
stava ascoltando e guardava l'anello di ferro.
(…)
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