Morgan Library & Museum New York
da “Malte Laurids Brigge” – Rainer Maria Rilke
Bibliothèque Nationale
Sono seduto e leggo
un poeta. C’è molta gente nella sala ma non si fa sentire. Sono tutti nei
libri. Talvolta si muovono tra i fogli come uomini che dormano e si voltino fra
due sogni. Fa bene stare così, fra uomini che leggono. Perché non sono sempre
così? Tu puoi avvicinarti a uno di loro e toccarlo leggermente: non ti sente. Se
urti appena un vicino, alzandoti, e gli chiedi scusa, egli accenna dalla parte
da cui viene la tua voce: volge il viso verso di te e non ti vede, e i suoi
capelli sono come i capelli di uno che dorma. E questo fa bene. Io sono seduto e
leggo un poeta. Un curioso destino. Ci sono forse trecento persone che leggono
nella sala; ma è impossibile che ciascun di loro abbia un poeta. (Dio sa
cos’hanno). Non ci sono trecento poeti. E vedi il destino; io, il più
miserabile forse fra tutta questa gente, uno straniero: io ho un poeta. Benché
sia povero. Benché il vestito che porto tutti i giorni cominci a logorarsi in
alcuni punti e ci sia molto da ridire sulle mie scarpe. Certo il colletto della
camicia è pulito e la biancheria anche; e potrei come sono, entrare in una
buona pasticceria, magari dei boulevards, posare tranquillamente la mano su un
vassoio e prendere una pasta. Nessuno troverebbe strano il mio gesto; nessuno
mi sgriderebbe o verrebbe a mandarmi via, perché è sempre una mano di buona
apparenza, una mano lavata quattro o cinque volte al giorno. Le unghie sono
nitide, l’indice non è macchiato d’inchiostro e specialmente i polsi sono
immacolati. I poveri non si lavano fin lì, è cosa nota. Dalla bianchezza dei
polsi si possono trarre molte deduzioni. E magari si traggono. Soprattutto nei
negozi. Ma esistono un paio di creature, sul Boulevard Saint-Michel, per
esempio, e in Rue Racine, che non si lasciano ingannare, che si ridono dei miei
polsi. Mi vedono e sanno tutto. Sanno che io appartengo a loro, che faccio solo
un po’ il commediante. È carnevale del resto. E non vogliono guastarmi il
giuoco: fanno appena una smorfia e ammiccano con gli occhi. Nessuno se ne
accorge. Per il resto mi trattano come un signore. Basta che ci sia qualcuno
nelle vicinanze e mi trattano con deferenza. Fanno come se io avessi una
pelliccia e la vettura che mi aspetta. A volte do loro due soldi, e tremo
all’idea che potrebbero rifiutarli; ma li prendono sempre. E tutto sarebbe a
posto se non facessero ancora una volta una smorfia, e se non ammiccassero un
po’.
(…)
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