dipinto di Kenne Gregoire
da “Malte Laurids Brigge” – Rainer Maria Rilke
Bibliothèque Nationale
(…)
Qui riconosco sempre
tutto; e per questo entra subito dentro di me, sono la sua casa. Mi sentivo un
po’ stanco, dopo, oserei dire sfinito; e per questo fu troppo vedere che anche
lui mi aspettava.
Mi aspettava nella
piccola cremeria dove andavo a mangiare due uova al burro; avevo fame, non
avevo mangiato in tutto il giorno. Ma anche così non riuscii a prendere un
boccone; prima che le uova fossero pronte, mi sentii di nuovo trascinato in
strada dove mi venne incontro il fitto gorgo degli uomini. Perché era
carnevale, e sera, e tutti erano liberi, giravano e si spingevano a vicenda. E
i loro visi erano pieni di luce che veniva dai baracconi e il riso colava da
quelle bocche come marcio dalle ferite aperte. Ridevano sempre più forte, e si
urtavano; io cercavo di andare avanti con una impazienza crescente. Mi
impigliai nello scialle di una donna e me lo tirai dietro; qualcuno mi fermò
ridendo: sentii che anch’io dovevo ridere e che non potevo. Da un’altra parte mi
gettarono negli occhi una manciata di coriandoli e fu come un colpo di frusta.
Agli angoli la gente era più fitta, un uomo addosso all’altro, e non potevano
fare altro movimento che un leggero dondolio come se si accoppiassero da fermi.
Ma benché essi fossero immobili e io corressi come un pazzo all’estremità del
marciapiede, dove restava un piccolo intervallo nella calca, mi pareva che
fossero loro a correre e che io stessi fermo. Perché non cambiava nulla; mi
guardavo intorno e vedevo sempre le stesse case da una parte e i baracconi
dall’altra.
(…)
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