30 ottobre 2020

Rubens il partigiano e altri racconti – Enzo Montano

Rubens il partigiano e altri racconti – Enzo Montano
da “La biancheria”

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Nel mentre a Napoli e dintorni continuava la discussione sulla sua biancheria, la marchesa Immacolata Assunta ecc., si godeva la permanenza romana in un lussuoso attico di piazza Navona. Non disdegnava di aprire la sua conturbante via sulla seta a taluni privilegiati rappresentanti della popolazione maschile lasciando che i fortunati viaggiatori si rifocillassero senza risparmio in tutte le possibile oasi disposte lungo il percorso.
Il marchese Ferdinando Francesco Filippo etc., il di lei devoto consorte, si dedicava all’attività di famiglia visitando gli immensi possedimenti, instancabili generatori di ricchezza che spesso metteva a disposizione dei meno fortunati, oltre a garantire un vita dignitosa al gran numero di dipendenti
e alle rispettive famiglie. Il marchese finanziava generosamente gli studi dei loro figli e, attraverso delle iniziative benefiche, dava supporto economico ai bisognosi delle cui particolari situazioni veniva a conoscenza. Il tutto sempre con la massima delicatezza e discrezione. In questa opera di manutenzione, diciamo cosi, delle ricchezze di famiglia, l’uomo non trascurava l’altra attività, importante almeno, se non di più, quanto quella appena accennata: l’esplorazione continua lungo numerosissime vie sulla seta, sul velluto, sul cotone, sul lino, sull’ambra, sulle spezie, sull’oro, e su tutte le consistenze, i colori e i profumi paragonabili alla pelle delle tante fanciulle sensibili al fascino del focoso amante nonché alla sua generosità proverbiale.
Naturalmente, la marchesa e il marchese non disdegnavano, nei non rari periodi di vicinanza, di percorrersi a vicenda nelle numerose singolar tenzoni amorose durante le quali non era mai Immacolata a cedere per prima le armi giacche è risaputo che in quella categoria di duelli non è mai la donna a esaurire per prima le proprie sconfinate energie.
La signora marchesa Immacolata Assunta ecc. così come il consorte marchese Ferdinando Francesco Filippo etc. non erano credenti, poiché fermamente convinti che la vita e tutto il resto cessasse con la fine dell’esistenza terrena. Osservavano comunque le forme nel migliore dei modi, in ossequio alle lunghe tradizioni delle rispettive famiglie, e per rispetto alla conformità, come ci si aspetta da figure di prima importanza della società. Ma non credevano alle litanie della religione dalle quali rifuggivano sistematicamente se proprio non era indispensabile la loro presenza.
Con altrettanta convinzione non credevano al peccato né alle penitenze, men che meno ai lavacri dell’anima. Evitare di peccare per loro avrebbe significato rinunciare alle piacevolezze della vita, di quelle piacevolezze che entrambi ne facevano la loro ragione di vita.
Chi potrebbe dar loro torto?
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