Attendere il sogno una vita intera
inseguirlo fino al sangue delle unghie,
impervi i muri aguzze le stelle e nere le tormente;
scovarlo nei recessi del pensiero, leggerne i segni:
accenni impercettibili inesistenti quasi,
pennellate in aria del destino.
Attendere raccogliere e decifrare
poi inseguirne l’esistenza dubbia
scandagliando i grani;
coltivarlo scrutarlo da lontano,
nel silenzio immobile
e immobile il presente denso del sogno ricorrente;
sfiorarlo, assaporarlo
quando si spalanca l’estasi di averlo.
Una sola virgola di inatteso tempo,
e perderlo per sempre
nell’eterna notte, inafferrabile.
È già carpito da un ladro incredulo
posto dal beffardo caso
sotto l’attimo del mio cielo dello stesso attimo; proprio quello
di un capriccio del tempo dello spazio e degli dei
proprio lì quando il sogno sfugge.
Tu costruisci intorno le impalcature al vero,
ponti strade e funivie;
chi misura i sentimenti e la potenza?
Chi stabilisce gli sconfitti e incorona chi trionfa?
Uno è il sogno uno è quello che perde
e quello che vince è uno:
l’amore lo misura la distanza ed io sono lontano;
sono io il pensiero effimero e chi perde la mano.
E se l’amore è puro solo tra individui soli,
lo è anche quello con data di scadenza?
Il metallo invalicabile esiste o noi lo costruiamo?
Un’altra mano ancora e sono io chi ancora perde,
non assi ma nervi e battiti del cuore nelle mani
e con quelli non si vince.
Uno è il teschio che contro l’acciaio cento volte sbatte
e cento volte ancora ad ogni rintocco di campana
si rompe il cranio e restituisce il volo a chi lì non ha paese.
Cadono cocci di ossa vetri rotti e schizzi di cervello
ti accorgi del ritardo quando è già svanito l’ultimo alito,
dissolto dalla durezza del metallo nella dimensione vana del sogno.
Sogno è quello rotto ma anche quello è rubato
se non c’è più una strada dove farlo viaggiare
oltre l’ipocrisia del paravento di misericordia,
lì è posato, nell’angolo nel buio della cantina,
e quel sogno lo rivedi:
sei costretto dal solenne desiderio.
Nella corona non più tua, tra i panni stesi ai fili
assieme alla passione amore ed egoismo,
tu non puoi più abitare.
Lo sguardo vòlto all’orizzonte conosciuto:
il ritorno al nulla dalla strada che divide e ancora,
al consueto nulla oltre la soglia del suo oblio.
.... e lì attendere il mio.
ponti strade e funivie;
chi misura i sentimenti e la potenza?
Chi stabilisce gli sconfitti e incorona chi trionfa?
Uno è il sogno uno è quello che perde
e quello che vince è uno:
l’amore lo misura la distanza ed io sono lontano;
sono io il pensiero effimero e chi perde la mano.
E se l’amore è puro solo tra individui soli,
lo è anche quello con data di scadenza?
Il metallo invalicabile esiste o noi lo costruiamo?
Un’altra mano ancora e sono io chi ancora perde,
non assi ma nervi e battiti del cuore nelle mani
e con quelli non si vince.
Uno è il teschio che contro l’acciaio cento volte sbatte
e cento volte ancora ad ogni rintocco di campana
si rompe il cranio e restituisce il volo a chi lì non ha paese.
Cadono cocci di ossa vetri rotti e schizzi di cervello
ti accorgi del ritardo quando è già svanito l’ultimo alito,
dissolto dalla durezza del metallo nella dimensione vana del sogno.
Sogno è quello rotto ma anche quello è rubato
se non c’è più una strada dove farlo viaggiare
oltre l’ipocrisia del paravento di misericordia,
lì è posato, nell’angolo nel buio della cantina,
e quel sogno lo rivedi:
sei costretto dal solenne desiderio.
Nella corona non più tua, tra i panni stesi ai fili
assieme alla passione amore ed egoismo,
tu non puoi più abitare.
Lo sguardo vòlto all’orizzonte conosciuto:
il ritorno al nulla dalla strada che divide e ancora,
al consueto nulla oltre la soglia del suo oblio.
.... e lì attendere il mio.
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