lavoro di Maria Grazia Montano
da Agamennone – Ghiannis Ritsos
È un’ora soave – e me la godo, guardo la mia mano –
né per la spada, né per la carezza; – sola, votata,
– votata a che? – a certe corde invisibili. Come la mano
del rapsodo a una grande lira; – se gliela afferri un attimo,
la musica si arresta per lo stupore; e il suono interrotto
non perdona nessuno dei due; come un anello d’argento
appeso in aria con uno spago, ti batte inspiegabilmente sulla spalla.
Gli altri sono caduti – autentici valorosi (però, chissà
con quanta amarezza, con quanta paura anch’essi). Non ne ho invidiato la morte.
Se ho lodato il loro eroismo, è stato per nascondere
la mia gratitudine segreta per essere ancora vivo – nient’affatto eroe.
Eccomi dunque; neppure questa gioia ti ho portato – la rinomata gloria, come dicono,
che forse avrebbe anche potuto riscattare, ahimè,
con monete false e sonanti, i nostri autentici dieci anni di silenzio,
e mille delitti, visibili e nascosti, mille errori e tombe.
Lungi da me simili eroismi; – un altro adesso,
silenzioso e invisibile, mi fa segno. Una volta, all’imbrunire,
vidi un’ultima foglia d’oro su una pianta nera
ed era la spalla nuda di un bell’atleta calmo che, chinandosi,
sollevò il peso di tutti noi per deporlo mollemente in terra. Allora
una nuova fame, un altro appetito mi riempì la bocca di saliva
e mi sentii colare dagli angoli delle labbra
il latte dolce e acquietante della gratitudine. Senza volerlo
sollevai la mano fin lì per asciugarlo
per non tradirmi, perché non vedessero la mia nuova puerilità,
il mio nuovo succhiare al primo capezzolo del creato.
Così avrebbero capito quanto fossi forte, impotente –
provocazione in entrambi i casi.»
da Quarta dimensione, Crocetti Editore, Milano 2013
È un’ora soave – e me la godo, guardo la mia mano –
né per la spada, né per la carezza; – sola, votata,
– votata a che? – a certe corde invisibili. Come la mano
del rapsodo a una grande lira; – se gliela afferri un attimo,
la musica si arresta per lo stupore; e il suono interrotto
non perdona nessuno dei due; come un anello d’argento
appeso in aria con uno spago, ti batte inspiegabilmente sulla spalla.
Gli altri sono caduti – autentici valorosi (però, chissà
con quanta amarezza, con quanta paura anch’essi). Non ne ho invidiato la morte.
Se ho lodato il loro eroismo, è stato per nascondere
la mia gratitudine segreta per essere ancora vivo – nient’affatto eroe.
Eccomi dunque; neppure questa gioia ti ho portato – la rinomata gloria, come dicono,
che forse avrebbe anche potuto riscattare, ahimè,
con monete false e sonanti, i nostri autentici dieci anni di silenzio,
e mille delitti, visibili e nascosti, mille errori e tombe.
Lungi da me simili eroismi; – un altro adesso,
silenzioso e invisibile, mi fa segno. Una volta, all’imbrunire,
vidi un’ultima foglia d’oro su una pianta nera
ed era la spalla nuda di un bell’atleta calmo che, chinandosi,
sollevò il peso di tutti noi per deporlo mollemente in terra. Allora
una nuova fame, un altro appetito mi riempì la bocca di saliva
e mi sentii colare dagli angoli delle labbra
il latte dolce e acquietante della gratitudine. Senza volerlo
sollevai la mano fin lì per asciugarlo
per non tradirmi, perché non vedessero la mia nuova puerilità,
il mio nuovo succhiare al primo capezzolo del creato.
Così avrebbero capito quanto fossi forte, impotente –
provocazione in entrambi i casi.»
da Quarta dimensione, Crocetti Editore, Milano 2013
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