Caspar David Friedrich - Bazzia nel querceto
Alle soglie - Guido Gozzano
I.
Mio cuore, monello giocondo che ride pur anco nel pianto,
mio cuore, bambino che è tanto felice d'esistere al mondo,
pur chiuso nella tua nicchia, ti pare sentire di fuori
sovente qualcuno che picchia, che picchia... Sono i dottori.
Mi picchiano in vario lor metro spiando non so quali segni,
m'auscultano con gli ordegni il petto davanti e di dietro.
E sentono chi sa quali tarli i vecchi saputi... A che scopo?
Sorriderei quasi, se dopo non bisognasse pagarli..
«Appena un lieve sussulto all'apice... qui... la clavicola...»
E con la matita ridicola disegnano un circolo azzurro.
«Nutrirsi... non fare più versi... nessuna notte più insonne...
non più sigarette... non donne... tentare bei cieli più tersi:
Nervi... Rapallo... San Remo... cacciare la malinconia;
e se permette faremo qualche radioscopia...»
II.
O cuore non forse che avvisi solcarti, con grande paura,
la casa ben chiusa ed oscura, di gelidi raggi improvvisi?
Un fluido investe il torace, frugando il men peggio e il peggiore,
trascorre, e senza dolore disegna su sfondo di brace
e l'ossa e gli organi grami, al modo che un lampo nel fosco
disegna il profilo d'un bosco, coi minimi intrichi dei rami.
E vedon chi sa quali tarli i vecchi saputi... A che scopo?
Sorriderei quasi, se dopo non fosse mestiere pagarli.
III.
Mio cuore, monello giocondo che ride pur anco nel pianto,
mio cuore, bambino che è tanto felice d'esistere al mondo,
mio cuore dubito forte - ma per te solo m'accora -
che venga quella Signora dall'uomo detta la Morte.
(Dall'uomo: ché l'acqua la pietra l'erba l'insetto l'aedo
le danno un nome, che, credo, esprima un cosa non tetra.)
È una Signora vestita di nulla e che non ha forma.
Protende su tutto le dita, e tutto che tocca trasforma.
Tu senti un benessere come un incubo senza dolori;
ti svegli mutato di fuori, nel volto nel pelo nel nome.
Ti svegli dagl'incubi innocui, diverso ti senti, lontano;
né più ti ricordi i colloqui tenuti con guidogozzano.
Or taci nel petto corroso, mio cuore! Io resto al supplizio,
sereno come uno sposo e placido come un novizio.
I.
Mio cuore, monello giocondo che ride pur anco nel pianto,
mio cuore, bambino che è tanto felice d'esistere al mondo,
pur chiuso nella tua nicchia, ti pare sentire di fuori
sovente qualcuno che picchia, che picchia... Sono i dottori.
Mi picchiano in vario lor metro spiando non so quali segni,
m'auscultano con gli ordegni il petto davanti e di dietro.
E sentono chi sa quali tarli i vecchi saputi... A che scopo?
Sorriderei quasi, se dopo non bisognasse pagarli..
«Appena un lieve sussulto all'apice... qui... la clavicola...»
E con la matita ridicola disegnano un circolo azzurro.
«Nutrirsi... non fare più versi... nessuna notte più insonne...
non più sigarette... non donne... tentare bei cieli più tersi:
Nervi... Rapallo... San Remo... cacciare la malinconia;
e se permette faremo qualche radioscopia...»
II.
O cuore non forse che avvisi solcarti, con grande paura,
la casa ben chiusa ed oscura, di gelidi raggi improvvisi?
Un fluido investe il torace, frugando il men peggio e il peggiore,
trascorre, e senza dolore disegna su sfondo di brace
e l'ossa e gli organi grami, al modo che un lampo nel fosco
disegna il profilo d'un bosco, coi minimi intrichi dei rami.
E vedon chi sa quali tarli i vecchi saputi... A che scopo?
Sorriderei quasi, se dopo non fosse mestiere pagarli.
III.
Mio cuore, monello giocondo che ride pur anco nel pianto,
mio cuore, bambino che è tanto felice d'esistere al mondo,
mio cuore dubito forte - ma per te solo m'accora -
che venga quella Signora dall'uomo detta la Morte.
(Dall'uomo: ché l'acqua la pietra l'erba l'insetto l'aedo
le danno un nome, che, credo, esprima un cosa non tetra.)
È una Signora vestita di nulla e che non ha forma.
Protende su tutto le dita, e tutto che tocca trasforma.
Tu senti un benessere come un incubo senza dolori;
ti svegli mutato di fuori, nel volto nel pelo nel nome.
Ti svegli dagl'incubi innocui, diverso ti senti, lontano;
né più ti ricordi i colloqui tenuti con guidogozzano.
Or taci nel petto corroso, mio cuore! Io resto al supplizio,
sereno come uno sposo e placido come un novizio.
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