dipinto di Kelly Reemtsen
Ode alla sega- Pblo Neruda
Tra i nobili
utensili,
lo snello
martello,
la falce appena tagliata dalla luna,
lo smussato, robusto
scalpello, la generosa
pala,
sei, sega,
il pesce, il pesce
maligno,
lo squalo di funesta dentatura.
Tuttavia, la fila
dei tuoi
minimi denti
taglia cantando
il sole
sulla legna,
il miele del pino, l’acidità
metallica del rovere.
Allegramente
tagli
e cantando
la segatura sparge le tue prodezze
che il vento muove e che la pioggia frusta.
Non assumesti grazia
come quella dell’insolito martello
che decorò con due piume di gallo
la sua testa di acciaio,
bensì
come un pesce
della profonda
pienezza sottomarina,
dopo il tuo lavoro natatorio
ti immobilizzi e scompari
come nel letto oscuro dell’oceano.
Sega, pesce amico
che canta,
non divori
il cibo che tagliò la tua dentatura,
ma lo rovesci
in briciole di legno.
Sega azzurra, magra
lavoratore, cantando
tagliasti
per me
le tavole del guardaroba,
per tutti
cornici
perché in esse
sfolgori la pittura
o penetri nella casa
il fiume della luce dalla finestra.
Per tutta la terra
con i suoi fiumi
e le sue navigazioni,
per i
porti,
nelle imbarcazioni dell’oceano,
nell’alto
dei villaggi sospesi
sulla neve,
ancora
lontani, più lontani:
nel
segreto
degli istituti,
nella casa fiorita
dell’amante,
e anche
nel patio abbandonato
dove morì un Ignacio, un Saturnino,
così come
nelle profonde fucine,
in ogni parte
una sega
vigila,
una sega
magra, con i suoi
piccoli denti
di pesce familiare ed il suo vestito
di mare, di miniera azzurra, di fioretto dimenticato.
Così, sega,
voglio
segare
le cose gialle di questo mondo,
tagliare
legni puri,
cortecce della terra e della vita,
querce, roveri, sandali
sacri,
autunno
in lunghe leghe diffuso.
Io voglio
la tua nascosta
utilità, la tua forza
e la tua freschezza,
la sicura modestia
del tuo dentato acciaio,
la tua lamina di luna!
Mi congedo
da te,
benefica
sega,
astrale
e sottomarina,
dicendoti
che
rimarrei
sempre con la tua metallica vittoria
nelle segherie,
violino del bosco, uccello
della segatura, tenace
squalo del legno!
Tra i nobili
utensili,
lo snello
martello,
la falce appena tagliata dalla luna,
lo smussato, robusto
scalpello, la generosa
pala,
sei, sega,
il pesce, il pesce
maligno,
lo squalo di funesta dentatura.
Tuttavia, la fila
dei tuoi
minimi denti
taglia cantando
il sole
sulla legna,
il miele del pino, l’acidità
metallica del rovere.
Allegramente
tagli
e cantando
la segatura sparge le tue prodezze
che il vento muove e che la pioggia frusta.
Non assumesti grazia
come quella dell’insolito martello
che decorò con due piume di gallo
la sua testa di acciaio,
bensì
come un pesce
della profonda
pienezza sottomarina,
dopo il tuo lavoro natatorio
ti immobilizzi e scompari
come nel letto oscuro dell’oceano.
Sega, pesce amico
che canta,
non divori
il cibo che tagliò la tua dentatura,
ma lo rovesci
in briciole di legno.
Sega azzurra, magra
lavoratore, cantando
tagliasti
per me
le tavole del guardaroba,
per tutti
cornici
perché in esse
sfolgori la pittura
o penetri nella casa
il fiume della luce dalla finestra.
Per tutta la terra
con i suoi fiumi
e le sue navigazioni,
per i
porti,
nelle imbarcazioni dell’oceano,
nell’alto
dei villaggi sospesi
sulla neve,
ancora
lontani, più lontani:
nel
segreto
degli istituti,
nella casa fiorita
dell’amante,
e anche
nel patio abbandonato
dove morì un Ignacio, un Saturnino,
così come
nelle profonde fucine,
in ogni parte
una sega
vigila,
una sega
magra, con i suoi
piccoli denti
di pesce familiare ed il suo vestito
di mare, di miniera azzurra, di fioretto dimenticato.
Così, sega,
voglio
segare
le cose gialle di questo mondo,
tagliare
legni puri,
cortecce della terra e della vita,
querce, roveri, sandali
sacri,
autunno
in lunghe leghe diffuso.
Io voglio
la tua nascosta
utilità, la tua forza
e la tua freschezza,
la sicura modestia
del tuo dentato acciaio,
la tua lamina di luna!
Mi congedo
da te,
benefica
sega,
astrale
e sottomarina,
dicendoti
che
rimarrei
sempre con la tua metallica vittoria
nelle segherie,
violino del bosco, uccello
della segatura, tenace
squalo del legno!
1956
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