dipinto di Maria Grazia Montano
da Agamennone – Ghiannis Ritsos
Tutto il resto tenetelo; e lo scettro pesante, tempestato di diamanti –
soprattutto quello – non mi serve; – un peso insostenibile. Oggi capisco
l’ira di Achille; – non era affatto rivalità nei miei confronti – era stanchezza,
una stanchezza che presagiva e pareggiava la vittoria con la sconfitta,
la vita con la morte. Lui solo giù sulla spiaggia,
in compagnia del cane nero che inspiegabilmente gli si era incollato dietro
una notte d’autunno con una grande luna (così dicevano).
Forse aveva bisogno di questa presenza muta
che non chiede, non nega, ma che ha fede e approva sempre
con uno scodinzolio, con un battito delle ciglia
o a volte posando riconoscente il muso
sui sandali del padrone, aspettando con la stessa felicità
una carezza o un calcio; e altre volte ansimando, non per la corsa,
ma per devozione, con la lingua rossa penzoloni
come se si tenesse tra i denti un pezzo di anima insanguinato
e volesse donarlo. Una simile devozione sconfinata, immagino,
può salvare un uomo o anche un dio. Patroclo era geloso;
forse perciò lo esortava a tornare a combattere
e forse per questo è stato ucciso. Quanto sangue versato –
non ho mai capito perché – non lo so; – in certi momenti non osavo
toccare il pane – il pane era rosso. E quel cane,
dopo che Achille fu ucciso, gironzolava solo sulla spiaggia,
guardava le navi, le nuvole, annusava le pietre
calpestate dai piedi del suo padrone, annusava i suoi vestiti nella tenda,
completamente digiuno – chi si curava di lui? – era un impiccio,
sempre tra i piedi; molti lo prendevano a calci; guardava
i soldati che mangiavano; non ringhiava.
Un giorno, qualcuno gli gettò un osso; non lo mangiò;
lo prese tra le zanne e sparì. Poco dopo lo trovarono
sulla tomba di Achille – e l’osso posato lì sopra
come una piccola offerta; e piangeva grosse lacrime,
forse per la morte del padrone, o forse per la vergogna di aver fame.
Poi riprese il suo osso, si nascose dietro le pietre
e cominciò a rosicchiarlo. E assieme al rosichio si udiva
il suo singhiozzo – o forse era il gemito della fame eterna.
da Quarta dimensione, Crocetti Editore, Milano 2013
Tutto il resto tenetelo; e lo scettro pesante, tempestato di diamanti –
soprattutto quello – non mi serve; – un peso insostenibile. Oggi capisco
l’ira di Achille; – non era affatto rivalità nei miei confronti – era stanchezza,
una stanchezza che presagiva e pareggiava la vittoria con la sconfitta,
la vita con la morte. Lui solo giù sulla spiaggia,
in compagnia del cane nero che inspiegabilmente gli si era incollato dietro
una notte d’autunno con una grande luna (così dicevano).
Forse aveva bisogno di questa presenza muta
che non chiede, non nega, ma che ha fede e approva sempre
con uno scodinzolio, con un battito delle ciglia
o a volte posando riconoscente il muso
sui sandali del padrone, aspettando con la stessa felicità
una carezza o un calcio; e altre volte ansimando, non per la corsa,
ma per devozione, con la lingua rossa penzoloni
come se si tenesse tra i denti un pezzo di anima insanguinato
e volesse donarlo. Una simile devozione sconfinata, immagino,
può salvare un uomo o anche un dio. Patroclo era geloso;
forse perciò lo esortava a tornare a combattere
e forse per questo è stato ucciso. Quanto sangue versato –
non ho mai capito perché – non lo so; – in certi momenti non osavo
toccare il pane – il pane era rosso. E quel cane,
dopo che Achille fu ucciso, gironzolava solo sulla spiaggia,
guardava le navi, le nuvole, annusava le pietre
calpestate dai piedi del suo padrone, annusava i suoi vestiti nella tenda,
completamente digiuno – chi si curava di lui? – era un impiccio,
sempre tra i piedi; molti lo prendevano a calci; guardava
i soldati che mangiavano; non ringhiava.
Un giorno, qualcuno gli gettò un osso; non lo mangiò;
lo prese tra le zanne e sparì. Poco dopo lo trovarono
sulla tomba di Achille – e l’osso posato lì sopra
come una piccola offerta; e piangeva grosse lacrime,
forse per la morte del padrone, o forse per la vergogna di aver fame.
Poi riprese il suo osso, si nascose dietro le pietre
e cominciò a rosicchiarlo. E assieme al rosichio si udiva
il suo singhiozzo – o forse era il gemito della fame eterna.
da Quarta dimensione, Crocetti Editore, Milano 2013
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