lavoro di Maria Grazia Montano
da Agamennone – Ghiannis Ritsos
Passano gli anni. Ce ne andiamo. Invecchiamo; – non tu. Elena, sai,
dopo che cadde la città, stava per ore davanti al grande specchio
che si era fatta portare sulla nave; – uno specchio strano:
due maliziosi amorini d’oro, intarsiati ai lati della cornice,
nudi, senza faretra, senza l’arco, guardano con diffidenza
quello che si guarda nel cristallo. Elena, dunque,
ora si trucca il viso su modello della memoria – forse anche più bello
con il ricordo, l’esperienza e la volontà (perfino con l’ostinazione)
con tinture segrete – un’autentica alchimia – ocra, rosa, violetto, argento,
nero marcato intorno al glauco degli occhi,
cremisi intenso sulle labbra morbide e carnose.
Ora si ingrandisce la bocca con il trucco, come se dovesse gridare dal balcone
un inspiegabile “no”, o baciare un Dio. Ma, che vuoi farci, il suo viso
non è più quello per cui partimmo, quello per cui combattemmo
disseminando di remi spezzati, ruote ed elmi, mari e pianure.
Ha un altro viso ormai – forse più suo – e tuttavia diverso.
Sotto le splendide tinte dell’arte femminile
è come se nascondesse o addormentasse amaramente la sua morte. E lo sa.
Un giorno, giù sulla spiaggia, al banchetto per la vittoria,
dopo che avemmo seppellito i morti, e la città, da un capo all’altro
fumava ancora nel tranquillo crepuscolo autunnale, Elena,
col bicchiere davanti alle labbra, gridò:
“Sentite come tintinnano i miei braccialetti; io sono morta”,
e dai suoi denti si riversò un bagliore candido, e all’improvviso
tutto divenne di marmo e d’osso. Mani e voci si inchiodarono in aria.
Tutto bianco, bianchissimo – le alberature e il mare; un gabbiano,
come colpito da una freccia invisibile, cadde senza suono
in mezzo alla tavola, accanto alle anfore. Elena
lo prese in mano, lo guardò in silenzio,
si bagnò il mignolo nel sangue e disegnò sulla tovaglia
un cerchio perfetto – forse il nulla, forse il tutto. Poi,
spiumando con un gesto di incredibile grazia il ventre dell’uccello,
ci sparpagliò ridendo un ciuffo di piume sui capelli. Dimenticammo tutto.
Rimase solo un gusto di candore e quell’inspiegabile cerchio.
da Quarta dimensione, Crocetti Editore, Milano 2013
Passano gli anni. Ce ne andiamo. Invecchiamo; – non tu. Elena, sai,
dopo che cadde la città, stava per ore davanti al grande specchio
che si era fatta portare sulla nave; – uno specchio strano:
due maliziosi amorini d’oro, intarsiati ai lati della cornice,
nudi, senza faretra, senza l’arco, guardano con diffidenza
quello che si guarda nel cristallo. Elena, dunque,
ora si trucca il viso su modello della memoria – forse anche più bello
con il ricordo, l’esperienza e la volontà (perfino con l’ostinazione)
con tinture segrete – un’autentica alchimia – ocra, rosa, violetto, argento,
nero marcato intorno al glauco degli occhi,
cremisi intenso sulle labbra morbide e carnose.
Ora si ingrandisce la bocca con il trucco, come se dovesse gridare dal balcone
un inspiegabile “no”, o baciare un Dio. Ma, che vuoi farci, il suo viso
non è più quello per cui partimmo, quello per cui combattemmo
disseminando di remi spezzati, ruote ed elmi, mari e pianure.
Ha un altro viso ormai – forse più suo – e tuttavia diverso.
Sotto le splendide tinte dell’arte femminile
è come se nascondesse o addormentasse amaramente la sua morte. E lo sa.
Un giorno, giù sulla spiaggia, al banchetto per la vittoria,
dopo che avemmo seppellito i morti, e la città, da un capo all’altro
fumava ancora nel tranquillo crepuscolo autunnale, Elena,
col bicchiere davanti alle labbra, gridò:
“Sentite come tintinnano i miei braccialetti; io sono morta”,
e dai suoi denti si riversò un bagliore candido, e all’improvviso
tutto divenne di marmo e d’osso. Mani e voci si inchiodarono in aria.
Tutto bianco, bianchissimo – le alberature e il mare; un gabbiano,
come colpito da una freccia invisibile, cadde senza suono
in mezzo alla tavola, accanto alle anfore. Elena
lo prese in mano, lo guardò in silenzio,
si bagnò il mignolo nel sangue e disegnò sulla tovaglia
un cerchio perfetto – forse il nulla, forse il tutto. Poi,
spiumando con un gesto di incredibile grazia il ventre dell’uccello,
ci sparpagliò ridendo un ciuffo di piume sui capelli. Dimenticammo tutto.
Rimase solo un gusto di candore e quell’inspiegabile cerchio.
da Quarta dimensione, Crocetti Editore, Milano 2013
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