Lavoro di Maria Grazia Montano
da La sonata al chiaro di luna – Ghiannis Ritsos
Così sospesi, elevati, tenuti dal suono bronzeo della campana,
sentono quasi sotto le ascelle le due grandi mani dell’immortalità,
come sorretti dalle due possenti ali di bronzo
su in alto, senza sapere dove sono, o se sono, e dove cadranno.
In questa impenetrabilità e a questa altezza può darsi che si compia
questo incontro e questa libertà clandestina – muta Anfizionia –
come può vederla, come può espugnarla lo straniero? Senti, la fonte,
una piccola vena che sale dalle viscere della terra, senza perdere nulla
della sua segretezza – una vena recisa
così consapevolmente calma da tradire la sua profondità. E questo,
insieme alle altre cose, è inutile, inutile. Sono stanco.
Sono stanco di recitare date – 590, 447, 356; – 36
cambiano i numeri, e gli uomini gli stessi, le guerre le stesse –
tre guerre sacre (e quante altre profane). E di nuovo le Anfizionie.
Di nuovo i Giochi pitici. I morti bocconi sul terreno;
scudi, elmi scintillanti nel sole, accecanti;
i cavalli correvano nel fuoco, le rondini gridavano sopra le fiamme;
le statue si nascondevano gli occhi con le mani. I custodi delle cose sacre
rimanevano a Delfi, e i Cirresi sui monti come animali selvatici;
i Focesi di Delfi contro i Focesi; diserzioni, alleanze, violazioni di patti,
divergenze economiche, questioni tributarie di città portuali; la Pizia
ora con i Persiani, ora con i Macedoni
nella replica eterna dell’immutabile – la guerra.
Delfi, La sonata al chiaro di luna, Crocetti Editore, Milano 2012
Così sospesi, elevati, tenuti dal suono bronzeo della campana,
sentono quasi sotto le ascelle le due grandi mani dell’immortalità,
come sorretti dalle due possenti ali di bronzo
su in alto, senza sapere dove sono, o se sono, e dove cadranno.
In questa impenetrabilità e a questa altezza può darsi che si compia
questo incontro e questa libertà clandestina – muta Anfizionia –
come può vederla, come può espugnarla lo straniero? Senti, la fonte,
una piccola vena che sale dalle viscere della terra, senza perdere nulla
della sua segretezza – una vena recisa
così consapevolmente calma da tradire la sua profondità. E questo,
insieme alle altre cose, è inutile, inutile. Sono stanco.
Sono stanco di recitare date – 590, 447, 356; – 36
cambiano i numeri, e gli uomini gli stessi, le guerre le stesse –
tre guerre sacre (e quante altre profane). E di nuovo le Anfizionie.
Di nuovo i Giochi pitici. I morti bocconi sul terreno;
scudi, elmi scintillanti nel sole, accecanti;
i cavalli correvano nel fuoco, le rondini gridavano sopra le fiamme;
le statue si nascondevano gli occhi con le mani. I custodi delle cose sacre
rimanevano a Delfi, e i Cirresi sui monti come animali selvatici;
i Focesi di Delfi contro i Focesi; diserzioni, alleanze, violazioni di patti,
divergenze economiche, questioni tributarie di città portuali; la Pizia
ora con i Persiani, ora con i Macedoni
nella replica eterna dell’immutabile – la guerra.
Delfi, La sonata al chiaro di luna, Crocetti Editore, Milano 2012
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