Venezia
da "le città invisibili" - Italo Calvino
L’atlante
del Gran Kan contiene anche le carte delle terre promesse visitate nel pensiero
ma non ancora scoperte o fondate: la Nuova Atlantide, Utopia, la Città del Sole,
Oceana, Tamoé, Armonia, New–Lanark, Icaria.
Chiese a
Marco Kublai:– Tu che esplori intorno e vedi i segni, saprai dirmi verso quali
di questi futuri ci spingono i venti propizi.
– Per questi
porti non saprei tracciare la rotta sulla carta né fissare la data
dell’approdo. Alle volte mi basta uno scorcio che s’apre nel bel mezzo d’un
paesaggio incongruo, un affiorare di luci nella nebbia, il dialogo di due
passanti che s’incontrano nel viavai, per pensare che partendo di lì metterò
assieme pezzo a pezzo la città perfetta, fatta di frammenti mescolati col
resto, d’istanti separati da intervalli, di segnali che uno manda e non sa chi
li raccoglie. Se ti dico che la città cui tende il mio viaggio è discontinua nello
spazio e nel tempo, ora più rada ora più densa, tu non devi credere che si
possa smettere di cercarla. Forse mentre noi parliamo sta affiorando sparsa
entro i confini del tuo impero; puoi rintracciarla, ma a quel modo che
t’ho detto.
Già il Gran
Kan stava sfogliando nel suo atlante le carte della città che minacciano negli
incubi e nelle maledizioni: Enoch, Babilonia, Yahoo, Butua, Brave NewWorld.
Dice: –
Tutto è inutile, se l’ultimo approdo non può essere che la città infernale, ed
è là in fondo che, in una spirale sempre più stretta, ci risucchia la corrente.
E Polo: –
L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è
già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme.
Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare
l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è
rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper
riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli
spazio.
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