Strada - Yehuda AmichaiRileggo dopo molti anni “L’amante” di Yehoshua Abraham del 1977 e pubblicato in Italia solo nel 1990, un libro che richiusi con molti interrogativi e con il proposito di rileggerlo. Non avevo allora la concentrazione necessaria per comprendere la profondità leggera di cui è capace la letteratura soprattutto quando è esercitata ai massimi livelli come in questo caso e non ero in possesso degli strumenti sufficienti, non è detto che li abbia adesso, per addentrarmi nella complessa realtà di quella terra meravigliosa, dove si dipana l’intreccio del romanzo, teatro di una guerra infinita.
Un bagliore di automobili in fuga
i miei pensieri riordinava in bianco e nero.
Io che attraverso la strada
solo nei punti consentiti dalla legge,
sono stato invitato all’improvviso
fra le rose.
E come si chiarisce un bruno ramo
nel punto in cui si spezza, così io
nel mio amore
sono chiaro.
L’approccio alla lettura di un libro, immagino, abbia un
rituale per ogni lettore, il mio è diventato col tempo abbastanza complicato ed
è segnato da un avvicinamento all’opera effettuato per cerchi concentrici,
parlo di tutti quei momenti che contribuiscono a dare sostanza al piacere della
lettura, a coglierne ogni briciola. Innanzi tutto si deve verificare l’occasione
dell’incontro col libro, questo avviene in modo abbastanza casuale: in
libreria, un ricordo, un fatto di cronaca che fa tornare di attualità un
dejà-vu, il consiglio di un amico, la voglia di approfondimento, ecc.
Individuata l’opera, ha inizio una riflessione preventiva sulle aspettative e
sul contesto storico e geografico dell’ambientazione e dell’autore,
l’immaginario evocato. La complessità del rituale aumenta a dismisura se si
tratta di una rilettura ed è proporzionale ai dubbi suscitati nel primo
incontro.
In questo caso, l’occasione di una seconda lettura mi è
stata sollecitata dal romanzo di Orhan Pamuk, “Il mio nome è Rosso”, il
cui unico elemento comune con “L’amante” e la struttura narrativa che ricorda
Faulkner: i protagonisti si raccontano in prima persona, illustrano il loro
punto di vista, parlano dei loro sogni, dei ricordi e interpretano gli stessi
episodi, talvolta in netto contrasto con gli altri personaggi. Quest’unico elemento
è stato sufficiente a mettere in moto lo schema di ri-avvicinamento a quel
libro da sempre associato agli interrogativi.
Dico
subito che molti degli interrogativi iniziali sono scomparsi e la lettura mi è stata utile ad una maggiore comprensione
della difficile convivenza arabo-israeliana. Spesso, infatti, un’opera
letteraria aiuta a capire meglio di molte notizie giornalistiche e questa è la
ragione per la quale consiglio sempre di rileggere almeno le opere più
importanti che si ha avuto modo di avvicinare da giovani.
Il
romanzo, complesso, ricco di situazioni, denso di sentimenti e con personaggi
costruiti minuziosamente, narra di una famiglia israeliana della città di Haifa
durante una delle tante guerre arabo israeliane, la guerra del Kippur intorno
alla quale si sviluppa la trama e ne è protagonista assoluta. Nello scenario
bellico si sovrappongono diverse tipologie di ricerche ma la principale è la ricerca
dei motivi su cui costruire una pace. Si tratta di un affresco letterario che
dipinge meravigliosamente uno spaccato sulla difficile convivenza di popoli
diversi in un territorio crocevia di culture e tradizioni millenarie, di
conflitti religiosi e ataviche incomprensioni tra popoli. L’Amante è, quindi,
una storia di speranza, di certezze inafferrabili, di desideri, di rapporti tra
persone, di popoli, di culture e tenta
di offrire gli elementi necessari a decifrare la complessità della
multiculturalità medio orientale che, negli anni, si è estesa al mondo intero.
L’autore assolve al suo compito con una leggerezza di cui è capace solo chi ama
la propria appartenenza ad un popolo e, perciò, in grado di evidenziare meriti
e colpe di una condotta, non sempre condivisibile, lungo il cammino che ha
portato alla fondazione dello Stato di Israele e alla difesa dei territori. Un
conflitto che ha conosciuto un inaudito crescendo di violenza proseguito fino
ai giorni nostri e del quale non si intravede la fine.
Temi
questi che sono parte integrante del romanzo di Yehoshua
Abraham assieme alla famiglia citata composta da Adam, proprietario di una
grande e redditizia autofficina; la moglie Asya, insegnante immersa nello
studio e quasi rassegnata ad una realtà dalla quale preferisce estraniarsi; Dafi,
la loro figlia adolescente. Altri personaggi principali sono Na’im, arabo
adolescente che lavora nell’officina di Adam; l’anziana Vaduccia, nonna in coma
di Gabriel che si risveglia con un pianto liberatorio nell’udire il nome della
città di Gerusalemme, per
poi rifugiarsi
nella tristezza al cospetto della situazione del suo Israele e Gabriel,
l’amante che tutti cercano, capitato quasi per caso nella quotidianità della
famiglia di Adam.
Vi sono poi una serie di personaggi secondari eppure
importanti come Yigal, il figlioletto sordo di Adam ed Asya, morto in tenera
età, investito da un autoveicolo e mai conosciuto da Dafi; il cugino di Na’im,
esperto meccanico dell’officina; il fratello di Na’im, autore di un attentato
nel quale trova la morte, le amiche di Dafi, gli insegnanti e la vecchia Morris
del 48, appartenuta a Vaduccia, che diventa l’occasione del contatto tra
Gabriel e gli altri.
In un atmosfera rarefatta l’autore tende a sottolineare
le tante forme di incomunicabilità: tra figli e genitori, ebrei tradizionalisti
e progressisti, palestinesi integralisti e dialoganti, alunni ed insegnanti,
donne e uomini, concretezza e sogni,
guerra e pace, follia e razionalità, e
altre ancora.
Per la narrazione vengono utilizzati diversi simboli ed
io sono portato a individuarli in tutti i personaggi.
Adam potrebbe rappresentare un’idea di stato israeliano
dotato di talento finanziario e al tempo stesso capace di dare corpo ad un
futuro nel quale sarà possibile dare speranza anche ai pessimisti come la
moglie Asya fino a consumare le proprie energie per ritrovare quell’amante che
le aveva ridato un motivo di rinascita.
Asya è la rassegnazione alla situazione conflittuale che
è divenuta lo status del suo Paese e che mai potrà cambiare se non in periodi
brevi di illusioni che tali rimarranno.
Dafy è la speranza di Israele; i giovani che devono
essere vigili e guardinghi per non cadere in un abisso e perciò non dorme, la
paura in una realtà che non accetta che la situazione sfugga di mano le
impedisce il sonno e i sogni ma non si arrende alla fatalità.
Na’im è la curiosità di un ragazzo tra i conflitti di
razze, religioni e generazioni. Lui è palestinese che lavora nell’officina di
Adam e sperimenta le difficoltà della convivenza ma non per questo si arrende
alle incomprensioni. Na’im è il tentativo di andare al superamento delle
divisioni, è la ricerca incessante della “normalità”.
Yigal,
potrebbe essere il futuro immediato che Dafy non potrà mai avere così come lei
lo vorrebbe?
Vaduccia è un personaggio dipinto con maestria. È la
memoria storica del popolo israeliano, è la voglia di cancellare un presente
che non vuole accettare al punto da estraniarsi dalla realtà. Vaduccia dorme
perché vuole divenire pietra inerme senza pensieri e sentimenti. Solo il
richiamo di un altro simbolo a cui non si può riservare indifferenza,
Gerusalemme, la risveglia e la relega nella tristezza del quotidiano che non
vuole riconoscere sia pure con qualche barlume di speranza intravisto nella
presenza di Na’im.
Gabriel è l’amante inafferrabile sulla cui ricerca si
basa il romanzo e che appare sollo alla fine della narrazione, eppure il libro si apre con un
pensiero di Adam rivolto a lui “…
e noi nell’ultima guerra abbiamo perso un amante, e da quando è cominciata la
guerra che non lo si trova più, è sparito”. Gabriel
un surrogato sul quale, a sua insaputa, si ripongono
molte delle speranze delgi altri personaggi e molte delle frustrazioni delle
tante anime degli ebrei israeliani. Gabriel è, invece, completamente avulso
dalla vicenda e infatti non parla mai e non esita ad adattarsi a qulsiasi
situazione pur di sfuggire ad un guerra non sua e di cui non capisce le cause.
È protagonista di un episodio grottesco e memorabile che è un vero e proprio
rovesciamento dei canoni della guerra eroica e della fedeltà ai principi.
Accade, quando l’amante è costretto ad arruolarsi come tutti gli israeliani,
una sorta di cammino a ritroso attraverso mille sotterfugi che lo portano dalla
prima linea della fanteria israeliana fino alle retrovie e fino a nascondersi
tra gli ebrei ortodossi che rifuggono la guerra. C’entra forse qualcosa il
richiamo al pacifismo tradizionale in chiave attuale?
Alla fine viene ritovato e ricondotto a casa ripristinando
a guerra finita tutte le incertezze iniziali alle quali si aggiungono quelle
portate dalle nuove generazioni rappresentate dall’icontro amoroso tra Dafy e
Na’im che comunque annuncia la possibilità di un “incontro”.
Infine una considerazione sulla Morris, l’auto che dalla
vecchia Vaduccia, attraverso l’opera di Adam, arriva a Gabriel. A mio modo di
vedere è l’elemento che tiene insieme aspirazioni differenti di generazioni
diverse, si tratta del tentativo di delegare a elementi impersonali la soluzione
di conflitti sedimentati nei secoli. È impersonale il mezzo meccanico già in
possesso dell’anziana Vaduccia che prova a consegnare il testimone di una
tradizione proprio al personaggio meno organico al contesto nel quale si
sviluppa la storia, Gabiel, appunto, che proprio perché estraneo ai conflitti
potrebbe guidare gli altri verso equilibri non visibili a coloro che sono
portatori di elementi in contrasto tra loro.
L’amante di Yehoshua
Abraham
Tradudione
di Arno Baehr
Giulio
Einaudi Editore
Inciso: devo dichiarare la mia vicinanza al popolo
ebraico, a prescindere, per le indicibili
atrocità subite in tutte le epoche, culminate nell’Olocausto, ma non è possibile
accettare la protervia, pur nella complessità delle vicende medio orientali,
con cui persevera nella strategia di guerra finale senza nulla voler concedere
alle speranze di pace.
Enzo
Montano
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