Giovanni Battista Tiepolo - Suicidio di Aiace Telamonio.
Aiace - Pandelis Bukalas
Né le
armi di Achille
né il
Palladio.
Non pretesi
nulla.
Non era
per questo che combattevo
-le armi
sono inutili nell’Ade,
e le
statue degli dèi
valgono,
finalmente, quanto gli déi rappresentano:
nulla.
È la
mia sorte che combattevo,
e
gli dèi, senza un padrone, che la determinano.
Il
loro non avere un padrone mi inveleniva
mi faceva
vergognare.
Così
cancellai dal mio scudo
il volto
di Atena,
senza
ira, con tutta calma.
Non volevo
alcun protettore,
nessun
dio miracoloso che piegasse
la
lancia del mio nemico
o
deviasse la sua freccia.
Volevo
una gloria tutta mia, non un regalo.
Io e
il mio corpo.
Nessun
altro.
Quando
mi gettavo nella mischia cruenta,
quando
massacravo e mi massacravano.
Solo.
Splendidamente solo.
È ridicolo
dire che mi sia gettato fra le greggi argive
perché
la dea mi aveva obnubilato la mente,
sconvolta
forse dalla gelosia
per
i premi che non mi avevano dato,
come
dovuto.
La mia
vita è il premio.
L’unico.
Che altro?
E quando
fissavo la spada in terra
e quando
nudo vi conficco il corpo,
è
come se lo vedessi al di fuori di me,
e
quando scelgo come varco per la spada
l’unico
punto vulnerabile del corpo,
l’ascella
- mi
aveva donato l’immortalità incompleta
l’invidioso
Zeus,
ascoltando
disattento la preghiera di suo figlio
Eracle
–
lo scelgo
in tutta calma.
Perché
l’unica acquisizione è la mia vita.
Breve?
Ma mia. La determino.
Sto per
finirla,
era
già sancito il mio nome
per
i molti ahi della mia pena.
Prima
che prendano la decisione finale
gli dèi
e le dee
e
altre casuali nullità
giocando
con le loro bilance e i loro stami,
voglio
la mia fine.
E mentre
mi godevo l’estremo respiro,
e
Menelao, miserabile, ordinava
di
gettarmi sul lido,
perché
mi dilaniassero gli uccelli,
chiesi
– estrema e prima richiesta –
che
mio fratello sentisse, come garante,
che
non mi fossi bruciato, che non mi incenerissero,
chiesi
solo che il mio cadavere fosse ornato integro
che
integro il mio corpo senz’armi fosse pianto
e
onorato. Monumento d’uomo.
L’unico
premio della mia vita.
L’unico
modo per ribellarmi
a ciò
che determinarono come sorte. E a quelli.
Da solo
decisi il mio viaggio
nel più
splendido erebo.
Quale
altra libertà è più desiderabile?
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