Opera di Omar Ortiz
Tristia -
Osip Mandel’štam
1
Io
so la scienza dei commiati, appresa
fra
lamenti notturni a chiome sciolte.
Stan
ruminando i buoi, dura l’attesa:
ultim’ora
di veglia delle scolte
cittadine.
E mi piego al rito della notte
del
gallo, quando – in spalla il carico di strazio
del
viaggio – guardavano lontano umidi occhi,
e
pianger di donne al canto si univa delle muse.
2
Chi
alla parola “commiato”, sa quale
distacco
giungerà per noi fra poco,
che
cosa presagisce lo strepito del gallo
mentre
la fiamma arde arde sull’acropoli,
e
perché all’alba di una vita nuova,
mentre
il bue rumina pigro nell’andito,
il
gallo, araldo della vita nuova,
sulla
cinta muraria le ali sbatte?
3
E
amo il filato, amo la tessitura:
il
fuso ronza, va su e giù la spola.
Guarda:
scalza, leggera come fosse peluria
di
cigno, Delia già incontro mi vola!
O
gramo ordito del vivere nostro,
che
povera è la lingua della gioia!
Tutto
fu in altri tempi. Tutto sarà di nuovo.
Solo
ci è dolce l’attimo del riconoscimento.
4
Ma
così sia: giace in un terso piatto
d’argilla
una traslucida figura,
come
una pelle stesa di scoiattolo,
e
a scrutare la cera è una ragazza curva.
Non
sta a noi trarre auspici sul greco Erebo:
la
cera è per le donne ciò ch’è il bronzo per l’uomo.
Noi
sfidiamo la sorte da guerrieri;
destino
è ch’esse traendo auspici muoiano.
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