il volume caduto che nascondono
in fondo allo scaffale gli altri libri
e che di lenta e silenziosa polvere
i giorni coprono e le notti. L’ancora
di Sidone che i mari d’Inghilterra
premono in un soave abisso cieco.
Lo specchio che non replica nessuno
quando la casa è rimasta deserta.
Le limature d’unghie che lasciamo
dietro di noi nel tempo e nello spazio.
La misteriosa polvere di Shakespeare.
Il modo in cui le nuvole si mutano.
La simmetrica rosa momentanea
che il caso un certo giorno ha dato ai chiusi
vetri del puerile caleidoscopio.
I remi della prima nave, Argo.
Le orme di sabbia che l’onda assonnata
e fatale cancella sulla spiaggia.
I colori di Turner quando spengono
le luci nella retta galleria
e nella notte non risuona un passo.
L’interno del prolisso mappamondo.
La ragnatela sopra la piramide.
La pietra cieca e la curiosa mano.
Il sogno fatto prima dell’aurora
e poi scordato allo spuntar del giorno.
Il principio e la fine delle gesta
di Finnsburh, oggi solo pochi versi
ma di un ferro dai secoli non roso.
La lettera invertita sul tampone.
La tartaruga in fondo alla cisterna.
Ciò che è impossibile. Il secondo corno
dell’unicorno. L’Uno e Trino. Il disco
con tre lati. L’istante inafferrabile
in cui la freccia di Zenone va,
immobile nell’aria, al suo bersaglio.
Il fiore tra le pagine di Bécquer.
Il pendolo che il tempo ha arrestato.
L’acciaio che nel tronco infisse Odino.
Il volume dai fogli ancora intonsi.
Gli zoccoli e il fragore dell’assalto
di Junìn che in certo modo eterno
dura ancora ed è parte della trama.
Sui marciapiedi l’ombra di Sarmiento.
La voce che il pastore udì sul monte.
Il biancore delle ossa nel deserto.
Il colpo che finì Francisco Borges.
Il retro dell’arazzo. Quelle cose
che nessuno guarda salvo il Dio di Berkeley.
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