dipinto di Charles Courtney Curran
La Signorina Felicità ovvero la Felicità - Guido GozzanoIV.
Bellezza riposata dei solai
dove il rifiuto secolare dorme!
In quella tomba, tra le vane forme
di ciò ch'è stato e non sarà più mai,
bianca bella così che sussultai,
la Dama apparve nella tela enorme:
"é quella che lascò, per infortuni,
la casa al nonno di mio nonno... E noi
la confinammo nel solaio, poi
che porta pena... L'han veduta alcuni
lasciare il quadro; in certi noviluni
s'ode il suo passo lungo i corridoi...".
Il nostro passo diffondeva l'eco
tra quei rottami del passato vano,
e la Marchesa dal profilo greco,
altocinta, l'un piede ignudo in mano,
si riposava all'ombra d'uno speco
arcade, sotto un bel cielo pagano.
Intorno a quella che rideva illusa
nel ricco peplo, e che morì di fame,
v'era una stirpe logora e confusa:
topaie, materassi, vasellame,
lucerne, ceste, mobili: ciarpame
reietto, così caro alla mia Musa!
Tra i materassi logori e le ceste
v'erano stampe di persone egregie;
incoronato dalle frondi regie
v'era Torquato nei giardini d'Este.
"Avvocato, perché su quelle teste
buffe si vede un ramo di ciliege?"
Io risi, tanto che fermammo il passo,
e ridendo pensai questo pensiero:
Oimè! La Gloria! un corridoio basso,
tre ceste, un canterano dell'Impero,
la brutta effigie incorniciata in nero
e sotto il nome di Torquato Tasso!
Allora, quasi a voce che richiama,
esplorai la pianura autunnale
dall'abbaino secentista, ovale,
a telaietti fitti, ove la trama
del vetro deformava il panorama
come un antico smalto innaturale.
Non vero (e bello) come in uno smalto
a zone quadre, apparve il Canavese:
Ivrea turrita, i colli di Montalto,
la Serra dritta, gli alberi, le chiese;
e il mio sogno di pace si protese
da quel rifugio luminoso ed alto.
Ecco - pensavo - questa è l'Amarena,
ma laggiù, oltre i colli dilettosi,
c'è il Mondo: quella cosa tutta piena
di lotte e di commerci turbinosi,
la cosa tutta piena di quei "cosi
con due gambe" che fanno tanta pena...
L'Eguagliatrice numera le fosse,
ma quelli vanno, spinti da chimere
vane, divisi e suddivisi a schiere
opposte, intesi all'odio e alle percosse:
così come ci son formiche rosse,
così come ci son formiche nere...
Schierati al sole o all'ombra della Croce,
tutti travolge il turbine dell'oro;
o Musa - oimè! - che pu˜ giovare loro
il ritmo della mia piccola voce?
Meglio fuggire dalla guerra atroce
del piacere, dell'oro, dell'alloro...
L'alloro... Oh! Bimbo semplice che fui,
dal cuore in mano e dalla fronte alta!
Oggi l'alloro è premio di colui
che tra clangor di buccine s'esalta,
che sale cerretano alla ribalta
per far di sé favoleggiar altrui...
"Avvocato, non parla: che cos'ha?"
"Oh! Signorina! Penso ai casi miei,
a piccole miserie, alla città...
Sarebbe dolce restar qui, con Lei!..."
"Qui, nel solaio?..." - "Per l'eternità!"
"Per sempre? Accetterebbe?..." - "Accetterei!"
Tacqui. Scorgevo un atropo soletto
e prigioniero. Stavasi in riposo
alla parete: il segno spaventoso
chiuso tra l'ali ripiegate a tetto.
Come lo vellicai sul corsaletto
si librò con un ronzo lamentoso.
"Che ronzo triste!" - "é la Marchesa in pianto...
La Dannata sarà che porta pena..."
Nulla s'udiva che la sfinge in pena
e dalle vigne, ad ora ad ora, un canto:
O mio carino tu mi piaci tanto,
siccome piace al mar una sirena...
Un richiamo s'alzò, querulo e roco:
"é Maddalena inqueta che si tardi:
scendiamo; è l'ora della cena!". - "Guardi,
guardi il tramonto, là... Com'è di fuoco!...
Restiamo ancora un poco!" - "Andiamo, è tardi!"
"Signorina, restiamo ancora un poco!..."
Le fronti al vetro, chini sulla piana,
seguimmo i neri pippistrelli, a frotte;
giunse col vento un ritmo di campana,
disparve il sole fra le nubi rotte;
a poco a poco s'annunciò la notte
sulla serenità canavesana...
"Una stella!..." - "Tre stelle!..." - "Quattro stelle!..."
"Cinque stelle!" - "Non sembra di sognare?..."
Ma ti levasti su quasi ribelle
alla perplessitˆ crepuscolare:
"Scendiamo! é tardi: possono pensare
che noi si faccia cose poco belle..."
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