Kazimir Severinovič Malevič - Taking in the Rye
da “Il racconto dell’ancella” – Margaret Atwood
Rita mi scorge e annuisce col capo, se per salutarmi o semplicemente per indicare che ha preso atto della mia presenza è difficile a dirsi. Si pulisce le mani infarinate col grembiule e rovista nel cassetto di cucina in cerca del libro dei buoni. Accigliata, stacca tre buoni e me li porge. Avrebbe una faccia gentile se sorridesse, ma quell'espressione accigliata non è rivolta a me personalmente, è l'abito rosso che lei disapprova, e ciò che significa. Ritiene che io possa essere contagiosa, come una malattia o qualsiasi for-ma di cattiva sorte.
Talvolta origlio alle porte, cosa che non avrei mai fatto prima. Non mol-to a lungo, perché non voglio essere sorpresa. Una volta, però, ho sentito Rita dire a Cora che lei non si abbasserebbe in quel modo.
«Nessuno te lo chiede» diceva Cora. «Comunque, che potresti fare?»
«Andare nelle Colonie» diceva Rita. «Loro possono scegliere».
«Con le Nondonne, a morire di fame e sa Dio che altro?» ribatteva Cora. «Non ci proverei».
Stavano sbucciando i piselli; anche attraverso la porta socchiusa udivo il lieve rimbalzare dei piselli che cadevano nella bacinella di metallo e Rita che rispondeva con un brontolio o un sospiro, di protesta o di assenso.
«Comunque, lo fanno per tutte noi» diceva Cora, «o così dicono. Se non mi avessero legato le tube, potrei essere io al loro posto, diciamo se avessi dieci anni di meno. Non è poi così brutto. Non è ciò che si chiama un lavoro duro».
«Meglio lei che io» stava dicendo Rita quando ho aperto la porta.
Avevano la faccia di chi sta sparlando alle spalle di qualcuno e teme di essersi fatto sentire: erano imbarazzate, ma anche un tantino sprezzanti, come volessero affermare un loro diritto. Quel giorno, Cora fu con me più amabile del solito, Rita più imbronciata.
Rita mi scorge e annuisce col capo, se per salutarmi o semplicemente per indicare che ha preso atto della mia presenza è difficile a dirsi. Si pulisce le mani infarinate col grembiule e rovista nel cassetto di cucina in cerca del libro dei buoni. Accigliata, stacca tre buoni e me li porge. Avrebbe una faccia gentile se sorridesse, ma quell'espressione accigliata non è rivolta a me personalmente, è l'abito rosso che lei disapprova, e ciò che significa. Ritiene che io possa essere contagiosa, come una malattia o qualsiasi for-ma di cattiva sorte.
Talvolta origlio alle porte, cosa che non avrei mai fatto prima. Non mol-to a lungo, perché non voglio essere sorpresa. Una volta, però, ho sentito Rita dire a Cora che lei non si abbasserebbe in quel modo.
«Nessuno te lo chiede» diceva Cora. «Comunque, che potresti fare?»
«Andare nelle Colonie» diceva Rita. «Loro possono scegliere».
«Con le Nondonne, a morire di fame e sa Dio che altro?» ribatteva Cora. «Non ci proverei».
Stavano sbucciando i piselli; anche attraverso la porta socchiusa udivo il lieve rimbalzare dei piselli che cadevano nella bacinella di metallo e Rita che rispondeva con un brontolio o un sospiro, di protesta o di assenso.
«Comunque, lo fanno per tutte noi» diceva Cora, «o così dicono. Se non mi avessero legato le tube, potrei essere io al loro posto, diciamo se avessi dieci anni di meno. Non è poi così brutto. Non è ciò che si chiama un lavoro duro».
«Meglio lei che io» stava dicendo Rita quando ho aperto la porta.
Avevano la faccia di chi sta sparlando alle spalle di qualcuno e teme di essersi fatto sentire: erano imbarazzate, ma anche un tantino sprezzanti, come volessero affermare un loro diritto. Quel giorno, Cora fu con me più amabile del solito, Rita più imbronciata.
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