Vignetta di AGJ
da “il manifesto” del 20/03/2019
Parlamento
Il paradosso di
negare l’autorizzazione a chi rivendica il reato di LUIGI FERRAJOLI
L’aspetto più
minaccioso dell’ideologia populista, allorquando i populisti, come in Italia, sono
al potere, risiede in una concezione elementare e tendenzialmente antirappresentativa
e anti-costituzionale della democrazia, frutto di due mistificazioni ideologiche.
La prima
mistificazione è l’identificazione dei vincitori delle elezioni con il popolo, degli
eletti con gli elettori, della volontà del ceto politico con la volontà
popolare. La seconda è l’idea che la democrazia consista nell’onnipotenza della
maggioranza in quanto espressione della sovranità popolare e, quindi, la
negazione di quel tratto distintivo della democrazia costituzionale che è l’insieme
di limiti e vincoli imposti dalla Costituzione alla legislazione e perciò ai
poteri politici di maggioranza.
Questa tendenza dei
rappresentanti a identificarsi con il popolo rappresentato e perciò a concepire
la sovranità popolare come la loro sovranità, benché rifletta una
tentazione diffusa in tutto il ceto politico, forma il tratto distintivo soprattutto
dei populisti, la cui concezione primitiva della democrazia consiste nell’idea
dell’assenza di limiti alla volontà popolare, a sua volta identificata con la
loro volontà, e perciò nella rimozione di quella grande conquista del secolo
scorso che è stata la subordinazione della politica ai diritti
costituzionalmente stabiliti.
È precisamente questo
il senso e la portata della probabile negazione dell’autorizzazione a procedere
richiesta dal Tribunale di Catania contro Matteo Salvini per il sequestro di
177 migranti, privati per lunghi giorni della loro libertà personale sulla nave
Diciotti. Il ministro Salvini ha costruito il consenso popolare e la sua
fortuna politica mediante l’ostentazione di misure tanto disumane quanto illegali:
non solo la privazione della libertà per la quale è stato incriminato, ma anche
la preordinata omissione di soccorso, la chiusura dei porti oggi nuovamente
ordinata contro la nave Mare Jonio che ha salvato la vita a 49 migranti, la
violazione della convenzione di Amburgo sui salvataggi in mare e perfino del
nostro Testo unico sull’immigrazione che vieta i respingimenti di quanti
intendono chiedere asilo, delle donne incinte e dei minori non accompagnati.
Ebbene, la negazione dell’autorizzazione
a procedere contro Salvini non viene motivata da questa maggioranza con la
supposta esistenza, come nelle comuni autorizzazioni, di un qualche fumus
persecutionis o comunque, come nel caso del famoso voto del Parlamento
sulla minorenne Ruby nipote di Mubarak con la tesi dell’inesistenza del reato
contestato. In questi casi, con la negazione sia pure non credibile del reato, il
vizio rendeva omaggio alla virtù. Al contrario, la proposta di negare l’autorizzazione
a procedere avanzata lo scorso febbraio dalla Giunta delle elezioni e delle
immunità parlamentari del Senato è stata basata sull’aperta rivendicazione del
reato - e ovviamente di tutte le altre violazioni dei diritti umani, passate e
future - da parte dell’intero governo in nome di un “preminente interesse
pubblico”. Non dimentichiamo che Salvini, quando ricevette l’avviso di
garanzia, dichiarò che l’avrebbe appeso al muro come una medaglia.
Si sta così dando
vita a un precedente gravissimo, forse - è sperabile - nell’inconsapevolezza generale.
Certamente la probabile negazione dell’autorizzazione a procedere sarebbe
formalmente legittima. L’articolo 9, comma 3 della legge costituzionale
n.1 del 1989 – una
vera mina collocata alla base del nostro assetto costituzionale – prevede infatti
che il Parlamento possa negare l’autorizzazione a procedere contro un ministro sulla
base della “valutazione insindacabile” da parte della maggioranza, del cui
sostegno i ministri godono per definizione, “che l’inquisito abbia agito per la
tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il
perseguimento di un preminente interesse pubblico”.
Tuttavia dovrebbe
essere chiaro che la legittimità formale di tale negazione nulla toglierebbe
alla sua enorme gravità politica. La negazione dell’autorizzazione a procedere -
anche con il voto di quanti gridavano “onestà” e “legalità” e che evidentemente
considerano assai più grave un fatto di corruzione che l’omissione di soccorso e
le stragi in mare di centinaia di migranti – varrebbe ad avallare due tesi, l’una
di merito e l’altra di metodo, equivalenti, di fatto, alla negazione dello
stato costituzionale di diritto.
La prima è che è nell’interesse
dello Stato la violazione dei diritti inviolabili dell’uomo e dei doveri di
solidarietà stabiliti dalla nostra Costituzione; la seconda è l’affermazione dell’insindacabilità
della politica e del potere di governo come potere assoluto, e perciò l’archiviazione
del sistema di limiti, di vincoli e di controlli di legalità nel quale risiedono
la Costituzione e il costituzionalismo.
LUIGI FERRAJOLI
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