Diego Ravera - Watermelons, 1957
da Dolce come il cioccolato - Laura esquivel
Nel periodo della canicola si appendevano grandi amache in cortile, perché il caldo diventava insopportabile. Su di un tavolo si lasciava un orcio con del ghiaccio contenente un’anguria affettata, così se qualcuno durante la notte si fosse svegliato accaldato e desideroso di refrigerio poteva mangiarsene una fetta.
Mamma Elena era una specialista nel preparare l’anguria: con la punta di un coltello affilato entrava nell’anguria fin dove finiva la parte verde della buccia, così da lasciare intatta la polpa. Praticava alcuni tagli nella buccia con una precisione matematica tale che, finita l’operazione, bastava prendere l’anguria, picchiarla contro una pietra nel punto esatto, e quasi per magia la buccia si apriva come i petali in fiore e sul tavolo rimaneva la polpa intatta. Indubbiamente, quando si trattava di tagliare, smantellare, smembrare, devastare, strappar via, salassare, disfare o dividere qualcosa, Mamma Elena era maestra. Dopo la morte di Mamma Elena nessuno riuscì più a compiere quella prodezza (con l’anguria). Sdraiata nella sua amaca, Tita aveva sentito che qualcuno si era alzato a mangiare un pezzo d’anguria. Si era svegliata perché doveva andare in bagno. Aveva bevuto birra tutto il giorno, non per il caldo ma per avere più latte da dare al nipote. Il piccolo dormiva tranquillamente vicino a sua sorella. Si alzò a tentoni: non poteva vedere niente, perché era una notte completamente buia. Si avviò verso il bagno, sforzandosi di ricordare dov’erano le amache per non andare a sbattere contro qualcuno. Pedro, seduto nella sua amaca, mangiava l’anguria e pensava a Tita. La vicinanza di lei gli causava una grande agitazione. Non poteva dormire sapendola lì a pochi passi da lui… e da Mamma Elena, naturalmente. Il suo respiro si era arrestato un attimo nel sentire un rumore di passi nell’oscurità. Doveva trattarsi di Tita: la particolare fragranza che si era diffusa nell’aria, un misto di gelsomino e odori di cucina, poteva appartenere soltanto a lei. Per un momento pensò che Tita si fosse alzata per cercarlo. Il rumore dei passi che si avvicinavano si confondeva a quello del suo cuore, che batteva violentemente.
Nel periodo della canicola si appendevano grandi amache in cortile, perché il caldo diventava insopportabile. Su di un tavolo si lasciava un orcio con del ghiaccio contenente un’anguria affettata, così se qualcuno durante la notte si fosse svegliato accaldato e desideroso di refrigerio poteva mangiarsene una fetta.
Mamma Elena era una specialista nel preparare l’anguria: con la punta di un coltello affilato entrava nell’anguria fin dove finiva la parte verde della buccia, così da lasciare intatta la polpa. Praticava alcuni tagli nella buccia con una precisione matematica tale che, finita l’operazione, bastava prendere l’anguria, picchiarla contro una pietra nel punto esatto, e quasi per magia la buccia si apriva come i petali in fiore e sul tavolo rimaneva la polpa intatta. Indubbiamente, quando si trattava di tagliare, smantellare, smembrare, devastare, strappar via, salassare, disfare o dividere qualcosa, Mamma Elena era maestra. Dopo la morte di Mamma Elena nessuno riuscì più a compiere quella prodezza (con l’anguria). Sdraiata nella sua amaca, Tita aveva sentito che qualcuno si era alzato a mangiare un pezzo d’anguria. Si era svegliata perché doveva andare in bagno. Aveva bevuto birra tutto il giorno, non per il caldo ma per avere più latte da dare al nipote. Il piccolo dormiva tranquillamente vicino a sua sorella. Si alzò a tentoni: non poteva vedere niente, perché era una notte completamente buia. Si avviò verso il bagno, sforzandosi di ricordare dov’erano le amache per non andare a sbattere contro qualcuno. Pedro, seduto nella sua amaca, mangiava l’anguria e pensava a Tita. La vicinanza di lei gli causava una grande agitazione. Non poteva dormire sapendola lì a pochi passi da lui… e da Mamma Elena, naturalmente. Il suo respiro si era arrestato un attimo nel sentire un rumore di passi nell’oscurità. Doveva trattarsi di Tita: la particolare fragranza che si era diffusa nell’aria, un misto di gelsomino e odori di cucina, poteva appartenere soltanto a lei. Per un momento pensò che Tita si fosse alzata per cercarlo. Il rumore dei passi che si avvicinavano si confondeva a quello del suo cuore, che batteva violentemente.
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