dipinto di Kenton Nelson
da La ragazza di Bube – Carlo Cassola
Mangiarono; poi Mara aiutò la madre a rigovernare. Dopo, sarebbe potuta andare a ricercare qualcuna delle amiche; ma non ne ebbe voglia. Salì in camera, dove la madre s'era messa a lavorare a maglia. Prese a raccontarle la vita che faceva a Poggibonsi:
«... le faccende, toccano tutte a me. A parte la spesa, che la va a fare il marito...»
«Ma allora c'è troppo lavoro in quella casa; ti strapazzerai, Marina.»
«Lavoro ce n'è tanto, ma almeno ho la soddisfazione di fare tutto io. Non si azzardano più a dirmi niente: come faccio io, è ben fatto. L'altro giorno il figlio s'è lamentato che non gli avevo stirato i pantaloni, e io gli ho risposto, in presenza di tutti: “Con quanto lavoro c'è, non posso mica stare ogni momento a stirarle i pantaloni”».
«Bada che non si prenda confidenze con te» la ammonì la madre.
«Oh, non c'è pericolo. Non aver paura, mamma, so farmi rispettare.»
«Vedi, Mara, io sto sempre tanto in pena per te. Ora è ancora troppo presto, ma quando verrà il momento... vorrei proprio che trovassi un giovane ammodo, lavoratore...»
Mara rimase zitta.
Dopo un po' andò in camera sua. Non aveva nulla da fare, e finì con lo stendersi sul letto. Pensava a Bube, a quello che c'era stato fra loro; i ricordi erano sempre netti, ma non le davano più quell'emozione a richiamarli alla memoria. Quasi non le pareva vero che fosse accaduto a lei.
Sbadigliando, andò a far merenda, poi si mise alla finestra. I ricordi del suo breve amore si erano allontanati ma lei era cambiata: non aveva più nulla in comune con la Mara di un tempo. Le pareva addirittura di non aver più nulla in comune col suo paese: quelle vecchie case, la gente seduta sugli scalini, gli asini attaccati agli anelli di ferro infissi accanto alle porte, i polli che razzolavano negli spiazzi, tutto le appariva sporco, vecchio, misero...
Meno male che si avvicinava l'ora della partenza. C'era l'occasione di una macchina che andava a Colle; di lì sarebbe stata in tempo a prendere l'ultimo treno per Poggibonsi. Già pregustava la gioia del ritorno nella sua cameretta, confortata dal flusso vitale dei rumori e delle luci.
Mangiarono; poi Mara aiutò la madre a rigovernare. Dopo, sarebbe potuta andare a ricercare qualcuna delle amiche; ma non ne ebbe voglia. Salì in camera, dove la madre s'era messa a lavorare a maglia. Prese a raccontarle la vita che faceva a Poggibonsi:
«... le faccende, toccano tutte a me. A parte la spesa, che la va a fare il marito...»
«Ma allora c'è troppo lavoro in quella casa; ti strapazzerai, Marina.»
«Lavoro ce n'è tanto, ma almeno ho la soddisfazione di fare tutto io. Non si azzardano più a dirmi niente: come faccio io, è ben fatto. L'altro giorno il figlio s'è lamentato che non gli avevo stirato i pantaloni, e io gli ho risposto, in presenza di tutti: “Con quanto lavoro c'è, non posso mica stare ogni momento a stirarle i pantaloni”».
«Bada che non si prenda confidenze con te» la ammonì la madre.
«Oh, non c'è pericolo. Non aver paura, mamma, so farmi rispettare.»
«Vedi, Mara, io sto sempre tanto in pena per te. Ora è ancora troppo presto, ma quando verrà il momento... vorrei proprio che trovassi un giovane ammodo, lavoratore...»
Mara rimase zitta.
Dopo un po' andò in camera sua. Non aveva nulla da fare, e finì con lo stendersi sul letto. Pensava a Bube, a quello che c'era stato fra loro; i ricordi erano sempre netti, ma non le davano più quell'emozione a richiamarli alla memoria. Quasi non le pareva vero che fosse accaduto a lei.
Sbadigliando, andò a far merenda, poi si mise alla finestra. I ricordi del suo breve amore si erano allontanati ma lei era cambiata: non aveva più nulla in comune con la Mara di un tempo. Le pareva addirittura di non aver più nulla in comune col suo paese: quelle vecchie case, la gente seduta sugli scalini, gli asini attaccati agli anelli di ferro infissi accanto alle porte, i polli che razzolavano negli spiazzi, tutto le appariva sporco, vecchio, misero...
Meno male che si avvicinava l'ora della partenza. C'era l'occasione di una macchina che andava a Colle; di lì sarebbe stata in tempo a prendere l'ultimo treno per Poggibonsi. Già pregustava la gioia del ritorno nella sua cameretta, confortata dal flusso vitale dei rumori e delle luci.
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