da L’oro di Napoli – Giuseppe Marotta
Il ragù
Ricordo don Ernesto Acampora, il
commerciante don Ernesto Acampora, famoso nel rione Mercato e forse in tutta
Napoli per i suoi eccelsi ragù. Ignorerà sempre che cosa sia un ragù d’autore
chi non sedette una domenica al desco di don Ernesto. Due parole sull’uomo. Non
aveva età e non aveva camicia; o almeno portava esclusivamente, sugli ondosi
calzoni marinareschi, una maglietta di spago e uno scapolare dei santi Cosimo e
Damiano, che oltre a contenere non so quale reliquia di questi patroni, gli
serviva per riporvi residui di sigaretta; era commerciante nel senso che
disponeva di un carrettino-bottega, adibito a ogni genere di merci o derrate,
secondo il suo estro inesauribile e secondo le immutabili stagioni di Dio: oggi
cocomeri o ulive o lupini o fichi d’India o pesce; domani aghi e nastri e
rocchetti di filo e dozzinali specchietti e portafogli, quando non si trattava
di piedi di porco bolliti o di trecce di zucchero filato o di castagne lesse;
in mancanza di meglio don Ernesto Acampora, sempre servendosi del suo
carrettino per installarvi gli attrezzi e il materiale indispensabili, affilava
coltelli e riparava sedie e ombrelli. Questa sua allucinante attività gli
conferiva una indubbia agiatezza e, suggerendogli di attardarsi nei più remoti
vicoli della città, presso ogni portoncino o uscio di “basso”, lo esponeva a
tentazioni amorose che non mancarono di creargli precisi doveri. Don Ernesto
Acampora non volle mai saperne di sposarsi. Ebbe, in vario modo, sette
figliuoli. Impartì a ciascuno il proprio cognome (con una sola eccezione per
Pasqualino, che purtroppo dovette essere attribuito, per intuibili motivi, a un
emigrato in America) e appena furono in grado di muovere i primi passi se li
portò a casa, dove li allevò imparzialmente la vecchia Acampora. Costei era
così vecchia che ogni anno, in Duomo, assisteva come parente di San Gennaro al
prodigio della liquefazione del sangue. Ciò la autorizzava, fra l’altro, a
insultare il santo; brutta faccia, faccia gialla – poteva dirgli e gli diceva –
lo fai questo miracolo? Coi nipoti fu altrettanto perentoria e umana: «cuore
mio», «assassino» gridava inseguendoli; se riusciva a ghermirli li baciava e li
mordeva su tutto il corpo. Erano due maschi e cinque femmine, ormai grandicelli
quando conobbi don Ernesto. S’era fatta una relativa pace, in lui; da anni
rincasava senza ulteriori bambini. Ispido e grigio, sfacchinava come sempre; ma
la domenica era il suo giorno, il giorno del riposo, della famiglia e del ragù.
Nessun commento:
Posta un commento