dipinto di Eric Bowman
Webster Ford – Edgar Lee MastersTu non ricordi, o delfico Apollo,
l'ora del tramonto sul fiume, quando Mickey M'Grew
gridò, "C'è uno spettro", e io, "È l'Apollo delfico";
e il figlio del banchiere ci schernì, dicendo, "È il riflesso
degli ireos al bordo dell'acqua, voi sciocchi rimbambiti".
E da allora, mentre i tediosi anni passavano, e da tempo
il povero Mickey era caduto dentro la torre dell'acqua incontro alla morte,
giù, giù, nella tenebra urlante, mi portai
quella visione svanita con lui come un razzo che cade
e si smorza a terra, e la celavo per timore
del figlio del banchiere, invocando che Plutone mi salvasse.
Tu fosti vendicato per l'onta di un pavido cuore,
lasciandomi solo finché ti rividi nell'ora
che mi parve d'esser mutato in albero con tronco e rami
che indurivano, pietrificavano, eppure gemmavano
in foglie di lauro, miriadi di foglie lucenti,
tremolanti, palpitanti, crepitanti, resistenti al torpore
che dal tronco morente e dai rami s'insinuava nelle vene!
È vano, giovinezza, fuggire il richiamo di Apollo.
Gettati nella fiamma, muori con un canto di primavera,
se morire tu devi in primavera. Perché nessuno
può guardare il viso di Apollo e sopravvivere, e scegliere devi,
tra la morte nel fuoco e la morte dopo anni di dolore,
radicato saldamente alla terra, quando senti l'orrenda mano,
non tanto nel tronco quanto nel torpore tremendo
che sale strisciando alle foglie di lauro che continuano
a spuntare finché non sei caduto. O mie foglie
troppo secche per farne ghirlande, adatte soltanto
alle urne della memoria, pregiate, forse, come temi
per cuori eroici, che cantino e vivano senza paura -
delfico Apollo!
Trad. Alberto Rossatti
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