1 ottobre 2019

Ode al palombaro – Pablo Neruda

Lisandro Rota - Nata sotto il segno dei pesci 30x30
Ode al palombaro – Pablo Neruda

Uscì l’uomo di gomma
dai mari.
Seduto
sembrava
re
rotondo
dell’acqua,
polpo
segreto
e grasso,
vita
troncata
da invisibile alga.

Dall’oceanica barca
scesero
pescatori
straccioni,
violacei
per la notte
sull’oceano,
scesero
sollevando
grandi pesci fosforici
come
fuoco voltaico,
i ricci cadendo
ammucchiarono
sulle sabbie
il rancore fragile
delle loro spine.

L’uomo
sottomarino
estrasse le sue grandi gambe,
maldestramente
vacillò fra intestini
orribili di pesci.
I gabbiani fendevano
l’aria libera con
i loro veloci becchi,
e il palombaro
come un ubriaco
camminava
sulla spiaggia,
maldestro
e scontroso,
rinfoderato
non soltanto
nel suo vestito di cetaceo,
ma ancora
metà mare
e metà terra,
senza sapere come
guidare gli immensi
piedi di gomma.

Lì stava nascendo.
Si separò
dal mare
come dall’utero,
innocente,
e era cupo, fragile
e selvaggio,
come
uno
appena
nato.
Ogni volta
gli toccava
nascere
dalle acque
o la sabbia.
Ogni giorno
scendendo
dalla prua
alle crudeli
correnti,
al freddo
del Pacifico
cileno,
il palombaro
doveva
nascere,
farsi
mostruoso,
ombra,
avanzare
con cautela,
imparare
a muoversi
con lentezza
di luna
sottomarina,
avere
a fatica
pensieri
d’acqua,
raccogliere
gli ostili
frutti, stalattiti
o tesori
della profonda solitudine
di quei
bagnati
cimiteri,
come se raccogliesse
cavolfiori,
e quando come un globo
di aria scura
saliva
verso
la luce, verso
la sua Mercedes,
la sua Clara, la sua Rosaura,
era difficile
camminare,
pensare, mangiare
di nuovo.
Tutto
era principio
per
quell’uomo tanto grande
tuttavia incompiuto,
traballante
tra l’oscurità
degli abissi.

Come tutte le cose
che appresi
nella mia esistenza,
vedendole, conoscendo,
appresi che essere palombaro
è un mestiere
difficile? No!
Infinito.

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