1 ottobre 2019

Ode al peschereccio – Pablo Neruda

dipinto di Fernándo de Szyszlo
Ode al peschereccio – Pablo Neruda

All’improvviso nella notte pura
e stellata
il cuore della barca, le sue arterie,
scattarono,
e occulte
serpentine costruirono
nell’acqua
un castello
di serpenti:
il fuoco distrusse quanto aveva
nelle sue mani
e quando con la sua lingua
toccò
la chioma
della polvere da sparo
scoppiò
come un tuono,
come sconfitta capsula,
l’imbarcazione da pesca.
Quindici
furono i
morti
pescatori,
disseminati
nella
notte fredda.

Mai
ritornarono da questo viaggio.
Né un solo dito di uomo,
né un solo piede nudo.

È poca morte quindici
pescatori
per il terribile
oceano
del Cile,
ma
quei
morti erranti,
espulsi
dal cielo e dalla terra
da tanta solitudine in movimento,
furono
come cenere
inesauribile,
come acque luttuose
che cadevano
sopra
le uve della mia patria,
pioggia,
pioggia
salata,
pioggia divoratrice che colpisce
il cuore del Cile e i suoi garofani.

Molti
sono,
si,
i morti
di terra e di mare,
i poveri
della miniera
ingoiati
dalla scura
marea della terra,
corrosi
dai
solforici
denti
del minerale andino,
e nella
strada,
nella fabbrica,
nel
tristissimo ospedale
dell’abbandono.
Si,
sono
sempre
poveri
i prescelti
dalla morte,
i raccolti in grappolo
dalle mani gelate
della raccoglitrice.

Ma questi
dispersi
in piena, in piena ombra,
con stelle
verso tutte le acque
dell’oceano,
quindici
morti
erranti,
poco
a
poco
integrati
col sale, con l’onda,
con la schiuma,
questi
senza dubbio
furono
quindici
pugnali
conficcati
nel cuore marino
della mia povera
famiglia.

Solamente
possiederanno l’ampia
bara dei acqua scura,
l’unica luce
che veglierà
i loro corpi
sarà
l’eternità
delle stelle,
e mille anni
vedova
vagherà per il cielo
la notte del naufragio,
quella notte.

Ma
dal mare
e dalla terra
torneranno
qualche giorno
i nostri morti.
Torneranno
quando
saremo
veramente
vivi,
quando
l’uomo
si sveglierà
e i popoli
cammineranno,
essi
dispersi, soli, confusi
col fuoco e l’acqua,
essi
triturati, bruciati,
in terra o mare, forse
saranno riuniti
finalmente
nel nostro sangue.
Meschina
sarebbe la vittoria solamente nostra.
Essa è il fiore finale dei caduti.
1956

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