8 ottobre 2019

Ode al carrubo morto – Pablo Neruda

dipinto di Henri Matisse
Ode al carrubo morto – Pablo Neruda

Camminavamo da
Totoral, polveroso
era il nostro pianeta:
la pampa circondata
dal celeste cielo:
calore e chiara luce nel vuoto.
Attraversavamo
Barranca Yaco
verso le solitudini di Ongamira
quando
sdraiato sopra la prateria
trovammo
un albero abbattuto,
un carrubo morto.

La tempesta
di ieri sera
alzò le sue radici
argentine
e le lasciò contratte
come una chioma di frenetici crini
piantati nel vento.

Mi avvicinai e era tale
la sua forza ferita,
tanto eroici i suoi rami al suolo,
irradiava la sua chioma
tale maestosità terreste,
che quando
toccai il suo tronco
io sentii che palpitava
e un lampo
del cuore dell’albero
mi fece chiudere gli occhi
e abbassare
la testa.

Era duro e arato
dal tempo, una solida
colonna lavorata
dalla pioggia e dalla terra,
e come un candelabro ripartiva
le sue arrotondate
braccia di legno
da dove
luce verde e ombra verde
prodigò alla pianura.

Al carrubo
duro, solido
come
una coppa di ferro,
arrivò
la tempesta americana,
l’aquilone
azzurro
della prateria
e all’improvviso il cielo
abbatté la sua bellezza.

Lì rimasi guardando
quello che fino a ieri
inalberò
rumore silvestre e nidi
e non piansi
perché il mio fratello morto
era tanto bello nella morte come nella vita.

Mi accomiatai. E lì rimase
coricato
sopra la terra madre.

Lasciai al vento
a vegliarlo e a piangerlo
e da lontano vidi
che
ancora
accarezzava la sua chioma.

Totolar, 19 gennaio 1956

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