1 ottobre 2019

Ode a un albatros viaggiatore – Pablo Neruda

Claude Monet - the sea study
Ode a un albatros viaggiatore – Pablo Neruda

Un grande albatros
grigio
morì quel giorno.
Qui cadde
sulle umide
sabbie.
In questo
mese
opaco, in
questo giorno
di autunno argentato
e piovigginoso,
somigliante
a una rete
con pesci freddi
e acqua
di mare.
Qui
cadde
morendo
il grande uccello.

Era
nella
morte
come una croce scura.
Da punta a punta di ala
tre metri di piumaggio
e la testa curva
come un uncino
con gli occhi ciclonici
chiusi.

Dalla Nuova Zelanda
attraversò tutto l’oceano
fino a
morire in Cile.

Perché? Perché? Che sale,
che onda, che vento
trovò nel mare?
Che cosa innalzò la sua forza
contro tutto
lo spazio?
Perché il suo potere
si testò nelle più dure
solitudini?
O fu la sua meta
la magnetica rosa
di una stella?
Nessuno
potrà saperlo, né dircelo.
L’oceano in questo
ampio sentiero
non ha
isola alcuna,
e l’albatros errante
nella interplanetaria
parabola
del vittorioso volo
incontrò solo giorni,
notti, acqua,
solitudini,
spazio.

Egli, con le sue ali, era
l’energia,
la direzione, gli occhi
che vinsero
sole e ombra:
l’uccello
scivolava nel cielo
verso
la più
lontana
terra
sconosciuta.

Uccello esteso, immobile
sembravi
volando
tra i continenti
sopra mari perduti,
una sola
vibrazione di ala,
un agile
colpo di campana e piuma:
così cambiava appena
la tua maestà la rotta
e trionfante continuavi
fedele nell’implacabile,
deserto
cammino.
Felice eri girando
appena
tra l’onda e l’aria
sommergendo la punta
della tua ala nell’oceano
o sentendoti nel mezzo
della estensione marina
con le ali chiuse come una cassaforte
di segreti gioielli,
dondolato
dalle
solitarie
schiume
come una profezia
muta
nel movimento dei salmi.

Uccello albatros, perdono,
dissi, in silenzio,
quando lo vidi disteso,
irrigidito
nella sabbia, dopo
l’immensa
traversata.
Eroe, gli dissi, nessuno
solleverà sopra la terra
in un
piazza di paese
la tua estasiata
statua,
nessuno.
Lì si sdraieranno nel mezzo
dei tristi allori
ufficiali
l’uomo dai baffi
con cappa e spada,
chi uccise
nella guerra
la contadina,
chi con un solo
obice sanguinoso
fece a pezzi
una scuola
di bambini,
chi usurpò
le terre
degli indios,
o il cacciatore
di colombi, lo
sterminatore
de cigni neri.

Si,
non aspettare,
dissi
al re del vento,
all’uccello dei mari,
non aspettare
un tumulo
eretto
alla tua prodezza,
e mentre
tetri cittadini
riuniti intorno alle tue spoglie
ti strappavano
una piuma, cioè,
un petalo, un messaggio
uraganato,
io mi allontanai
perché,
almeno,
il tuo ricordo,
senza pietra, senza statua,
in questi versi voli
per l’ultima volta contro
la distanza
e rimanda così vicino al mare il tuo volo.

Oh, capitano oscuro,
caduto nella mia patria,
magari che le tue ali
orgogliose
continuassero a volare sopra
l’onda finale, l’onda della morte.

1956

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