René Magritte, Le Grand Siècle, 1954, olio su tela, 50 x 60 cm, Kunstmuseum Gelsenkirchen © 2018 Prolitteris, Zurich
Macerie – Dominique Grandmont Nessuna parola è più sola
né pagina bianca del cielo
l’ombra del muro qualcuno
oppure più sorda dell’assenza
il suo riflesso in un vetro
e la sua voce l’oceano
quadrato d’oblio finestra
dove la profondità accelera
ma pure copre presto
ciò che la scrittura rischiara
sul fango sangue dei morti
se non fanno più differenza
tra vedere e credere dove l’uno
non è l’altro se non per finirla
col doppio gioco del saggio
Esclusi dal loro sudore batterebbero
il tempo dormendo neppure quelli
cui la terra era promessa
e marciapiedi dove l’urina
sarebbe il sangue delle eresie
quando i falliti non avrebbero
pioggia per non piangere
sarebbero pagati per tradirli
o fuoco d’artificio di parole
lanciate senza figura né modo
che pure si spegneva senza sparire
e memoria senza ricordo
non era che un modulo da riempire
oppure un complemento oggetto
di ciò che non vuole dire
Troppo felici sarebbero di correre
più veloci della sabbia o quelli
tra gambe e porte macerie
che immaginavamo di scoprire
quando eran già passati
sono le voci prima della parola
sul banco dei ridenti ansiosi
di asportare del gesso dall’unghia
anche la parola voleva
dare una ragione alla materia
quando svelati dalla conta
erano trattori nel deserto
ma se ne allontanerebbero vincitori
da questa cenere incorruttibile
in cui diamanti era la polvere
Inviolabile era la morte
questi vascelli bruciati dal desiderio
o fiumi ingarbugliati di schiuma
usciti dal riflesso in cui la speranza
trova soltanto ciò che vuol perdere
era più forte della follia
né il suo corpo era la carne a meno
di non scambiare con l’immagine
questo soffio ritrovato che alcuna
nascita saprebbe donare
ciò che dire impedisce di vedere
o che si è creduto di conoscere prima
di sapere come conoscerlo
queste nuvole in partenza
una simile sera sui treni
Nemmeno quello che fanno serve d’esempio
se l’anima non era che uno specchio
né l’insulto una verità
ingannevole quanto l’eternità
non ha un minuto da perdere
per ripulire fino allo scarto
tra l’esistenza e la morte
oppure che un falco possa andare
planando più in basso della sua ombra
fino al cuore della solitudine
e spingere la porta dell’alba
tra i muri e le sue macerie
dove l’infinito non è che un racconto
la cui frontiera è il sole
calpestato dei pomeriggi
per Jeanne-Baptiste Para
17 marzo 2016
Traduzione di Enzo Lamartora
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