Senza titolo, 1970 by Aldo Galli
da “Gli amori difficili”. L'avventura di un miope, (1958) – Italo Calvino
Alla fine capì. Era lui che era miope. L'oculista gli ordinò un paio d'occhiali. Da quel momento la sua vita cambiò, divenne cento volte più ricca d'interesse di prima.
Già l'inforcare gli occhiali era ogni volta un'emozione. Si trovava mettiamo a una fermata del tram, e lo prendeva la tristezza che tutto, persone e oggetti intorno, fosse così generico, banale, logoro d'essere com'era, e lui lì ad annaspare in mezzo a un molle mondo di forme e di colori quasi sfatti. Si metteva gli occhiali per leggere il numero d'un tram che arrivava, e allora tutto cambiava; le cose più qualsiasi, anche un palo della corrente, si disegnavano con tanti minuti particolari, con linee così nitide, e le facce, le facce sconosciute, si riempivano ognuna di segnetti, puntini della barba, brufolini, sfumature dell'espressione che prima non si sospettavano; e i vestiti si capiva di che stoffa
erano fatti, s'indovinava il tessuto, si spiava il logoro degli orli. Guardare diventava un divertimento, uno spettacolo; non il guardare una cosa o l'altra: guardare. Così Amilcare Carruga dimenticava di badare ai numeri dei tram, perdeva una corsa dopo l'altra, oppure saliva su di un tram sbagliato. Vedeva una quantità tale di cose che era come se non vedesse più nulla. Dovette a poco a poco farci l'abitudine, imparare da capo quello che era inutile guardare e quel che era necessario.
Alla fine capì. Era lui che era miope. L'oculista gli ordinò un paio d'occhiali. Da quel momento la sua vita cambiò, divenne cento volte più ricca d'interesse di prima.
Già l'inforcare gli occhiali era ogni volta un'emozione. Si trovava mettiamo a una fermata del tram, e lo prendeva la tristezza che tutto, persone e oggetti intorno, fosse così generico, banale, logoro d'essere com'era, e lui lì ad annaspare in mezzo a un molle mondo di forme e di colori quasi sfatti. Si metteva gli occhiali per leggere il numero d'un tram che arrivava, e allora tutto cambiava; le cose più qualsiasi, anche un palo della corrente, si disegnavano con tanti minuti particolari, con linee così nitide, e le facce, le facce sconosciute, si riempivano ognuna di segnetti, puntini della barba, brufolini, sfumature dell'espressione che prima non si sospettavano; e i vestiti si capiva di che stoffa
erano fatti, s'indovinava il tessuto, si spiava il logoro degli orli. Guardare diventava un divertimento, uno spettacolo; non il guardare una cosa o l'altra: guardare. Così Amilcare Carruga dimenticava di badare ai numeri dei tram, perdeva una corsa dopo l'altra, oppure saliva su di un tram sbagliato. Vedeva una quantità tale di cose che era come se non vedesse più nulla. Dovette a poco a poco farci l'abitudine, imparare da capo quello che era inutile guardare e quel che era necessario.
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