da “Il gatto che aggiustava i cuori” – RachelWells
È passato qualche giorno ed è aumentata la distanza tra la mia vecchia casa e il luogo in cui ero diretto, dovunque fosse. Ho incontrato gatti gentili, gatti arrabbiati e molti cani cattivi che si sono divertiti ad abbaiarmi contro senza riuscire a prendermi, per fortuna. Mi costringevano a essere sul chi vive, lo dico in senso letterale, perché ballavo e saltavo e scappavo, e sentivo le mie energie in costante esaurimento. Ho imparato a rispondere agli attacchi quando serviva; l’aggressione non mi veniva spontanea, l’istinto di sopravvivenza invece sì. Schivando automobili, gatti e cani, sono diventato a poco a poco più esperto della vita di strada. Mi facevo più magro di giorno in giorno; la mia pelliccia, una volta lucida, adesso era a chiazze, pativo il freddo ed ero stanco. Riuscivo a malapena a scamparla e non avevo mai pensato che la vita potesse essere così difficile.
Ero più triste di quanto fossi mai stato e più solo di quanto avrei creduto possibile. Quando dormivo, avevo gli incubi, e quando mi svegliavo, ripensando alla mia situazione piangevo. È stato un periodo orribile, e desideravo soltanto che finisse. Non sapevo per quanto tempo sarei riuscito a
sopravvivere. Imparavo che le strade possono essere crudeli e non perdonano. Fisicamente e mentalmente mi stava costando cara e cominciavo a sentirmi così scoraggiato che era una fatica tirare avanti.
Il tempo era il riflesso del mio umore. Faceva freddo e pioveva, e sentivo il gelo nelle ossa perché sembrava che la mia pelliccia non riuscisse mai ad asciugarsi del tutto. Nel periodo in cui sono stato un senzatetto – alla ricerca di un futuro, di una famiglia gentile – la bambina dolce non si è materializzata. Nessuno era ancora venuto in mio soccorso e cominciavo a pensare che nessuno l’avrebbe mai fatto. Dire che provavo pena per me stesso non basta a rendere l’idea.
Traduzione di Elisabetta Valdrè
È passato qualche giorno ed è aumentata la distanza tra la mia vecchia casa e il luogo in cui ero diretto, dovunque fosse. Ho incontrato gatti gentili, gatti arrabbiati e molti cani cattivi che si sono divertiti ad abbaiarmi contro senza riuscire a prendermi, per fortuna. Mi costringevano a essere sul chi vive, lo dico in senso letterale, perché ballavo e saltavo e scappavo, e sentivo le mie energie in costante esaurimento. Ho imparato a rispondere agli attacchi quando serviva; l’aggressione non mi veniva spontanea, l’istinto di sopravvivenza invece sì. Schivando automobili, gatti e cani, sono diventato a poco a poco più esperto della vita di strada. Mi facevo più magro di giorno in giorno; la mia pelliccia, una volta lucida, adesso era a chiazze, pativo il freddo ed ero stanco. Riuscivo a malapena a scamparla e non avevo mai pensato che la vita potesse essere così difficile.
Ero più triste di quanto fossi mai stato e più solo di quanto avrei creduto possibile. Quando dormivo, avevo gli incubi, e quando mi svegliavo, ripensando alla mia situazione piangevo. È stato un periodo orribile, e desideravo soltanto che finisse. Non sapevo per quanto tempo sarei riuscito a
sopravvivere. Imparavo che le strade possono essere crudeli e non perdonano. Fisicamente e mentalmente mi stava costando cara e cominciavo a sentirmi così scoraggiato che era una fatica tirare avanti.
Il tempo era il riflesso del mio umore. Faceva freddo e pioveva, e sentivo il gelo nelle ossa perché sembrava che la mia pelliccia non riuscisse mai ad asciugarsi del tutto. Nel periodo in cui sono stato un senzatetto – alla ricerca di un futuro, di una famiglia gentile – la bambina dolce non si è materializzata. Nessuno era ancora venuto in mio soccorso e cominciavo a pensare che nessuno l’avrebbe mai fatto. Dire che provavo pena per me stesso non basta a rendere l’idea.
Traduzione di Elisabetta Valdrè
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