Nel 1818, il Malese,
di cui abbiamo parlato, lo tormentava crudelmente; era un visitatore
insopportabile. Come lo spazio, come il tempo, il Malese si era moltiplicato.
Il Malese era diventato l'Asia stessa; l'Asia antica, solenne, mostruosa e
complicata come i suoi templi e le sue religioni; in cui ogni cosa, dagli
aspetti più ordinari della vita, fino ai ricordi classici e maestosi che
implica, è fatta per confondere e stupire la mente di un Europeo. E non si
trattava solodella Cina, bizzarra e artificiale, prodigiosa e vecchiotta come
un racconto di fate, che tiranneggiava il suo cervello. Quell'immagine evocava
naturalmente l'immagine contigua dell'India, così misteriosa e inquietante per
uno spirito dell'Occidente; e inoltre Cina e India formavano in un baleno con
l'Egitto una triade minacciosa, un incubo complicato, dalle svariate angosce.
Insomma, il Malese aveva evocato tutto l'immenso e favoloso Oriente. Le pagine
che seguono sono troppo belle per essere riassunte: «Ogni notte ero trasportato
da quest'uomo in mezzo a scenari asiatici. Non so se altre persone condividono
i miei sentimenti su questo punto; ma ho spesso pensato che se fossi costretto
ad abbandonare forzatamente l'Inghilterra, e a vivere in Cina, tra gli usi, le
regole di vita e gli ambienti della vita cinese, impazzirei. Le cause del mio
orrore sono profonde, e alcune devono essere condivisibili da altri uomini.
L'Asia meridionale è generalmente sede di immagini atroci e di temibili
associazioni di idee; non fosse altro che come culla del genere umano, deve
emanare non so quale vaga sensazione di spavento e di rispetto. Ma esistono
altre ragioni. Nessuno pretenderà che le strane, barbare e capricciose
superstizioni dell'Africa, o delle tribù selvagge di qualsiasi altra contrada, possano
colpirlo allo stesso modo delle antiche, monumentali e complesse religioni
dell'Indostan. L'antichità delle cose asiatiche, delle istituzioni degli
annali, dei modi della fede, possiede ai miei occhi qualcosa di così sbalorditivo,
l'antichità della razza e dei nomi, qualcosa di così sovrano, che basta ad
annientare la gioventù dell'individuo. Un giovane Cinese mi appare come un uomo
antidiluviano rigenerato. Gli stessi Inglesi, benché non siano stati allevati nella
conoscenza di tali istituzioni, non possono impedirsi di fremere di fronte alla
mistica sublimità di quelle caste, che hanno seguito ciascuna un suo corso, e
hanno rifiutato di mescolare le loro acque fin dalla notte dei tempi. Non c'è nessuno
che non provi rispetto per i nomi del Gange e dell'Eufrate. Accresce di molto
questi sentimenti il fatto che
l'Asia meridionale è
ed è stata, da migliaia d'anni, l'angolo di mondo più brulicante di vita umana,
la grande officina gentium. L'uomo, in queste contrade, cresce come l'erba.
I vasti imperi, nei quali è stata modellata da sempre l'enorme popolazione
dell'Asia, aggiungono una grandezza in più ai sentimenti che le immagini e i
nomi orientali comportano. In Cina soprattutto, tralasciando ciò che vi
è in comune col resto dell'Asia meridionale, sono terrificato dalle regole di
vita, dagli usi, da un'assoluta ripugnanza, da una barriera di
sentimenti che ci separano da lei e che sono troppo profondi per essere
analizzati. Troverei più facile vivere con dei lunatici o dei bruti. Occorre
che il lettore penetri in tutte queste idee e in altre ancora, che non
posso dire o non ho il tempo di esprimere, per capire tutto l'orrore che questi
sogni di iconografia orientale e di torture mitologiche stampavano nella
mia mente.
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