da “Nedda” – Giovanni Verga
Le ragazze del villaggio sparlarono di lei perché andò a lavorare subito il giorno dopo la morte della sua vecchia, e perché non aveva messo il bruno; e il signor curato la sgridò forte, quando la domenica successiva la vide sull'uscio del casolare, mentre si cuciva il grembiule che aveva fatto tingere in nero, unico e povero segno di lutto, e prese argomento da ciò per predicare in chiesa contro il mal uso di non osservare le feste e le domeniche.
La povera fanciulla, per farsi perdonare il suo grosso peccato, andò a lavorare due giorni nel campo del curato, acciò dicesse la messa per la sua morta il primo lunedì del mese; e la domenica, quando le fanciulle, vestite dei loro begli abiti da festa, si tiravano in là sul banco, o ridevano di lei, e i giovanotti, all'uscire di chiesa, le dicevano facezie grossolane, ella si stringeva nella sua mantellina tutta lacera, e affrettava il passo, chinando gli occhi, senza che un pensiero amaro venisse a turbare la serenità della sua preghiera - ovvero diceva a se stessa a mo' di rimprovero che si fosse meritato: - Son così povera! - oppure, guardando le sue due buone braccia: - Benedetto il Signore che me le ha date! - e tirava via sorridendo.
Una sera - aveva spento da poco il lume - udì nella viottola una nota voce che cantava a squarciagola, e con la melanconica cadenza orientale delle canzoni contadinesche: Picca cci voli ca la vaju' a viju. A la mi' amanti di l'arma mia!...
- È Janu! - disse sottovoce, mentre il cuore le balzava dal petto come un uccello spaventato, e cacciò la testa fra le coltri.
E il domani, quando aprì la finestra, vide Janu col suo bel vestito nuovo di fustagno, nelle cui tasche cercavano entrare per forza le sue grosse mani nere e incallite al lavoro, con un bel fazzoletto di seta nuova fiammante che faceva capolino con civetteria dalla scarsella del farsetto, il quale si godeva il bel sole d'aprile appoggiato al muricciolo dell'orto.
- Oh, Janu! - diss'ella, come se non ne sapesse proprio nulla.
- Salutamu! - esclamò il giovane col suo più grosso sorriso.
- O che fai qui?
- Torno dalla Piana -.
La fanciulla sorrise, e guardò le lodole che saltellavano ancora sul verde per l'ora mattutina.
- Sei tornato colle lodole.
- Le lodole vanno dove trovano il miglio, ed io dove c'è del pane.
- O come?
- Il padrone m'ha licenziato.
- O perché?
- Perché avevo preso le febbri laggiù, e non potevo più lavorare che tre giorni per settimana.
- Si vede, povero Janu!
- Maledetta Piana! - imprecò Janu stendendo il braccio verso la pianura.
- Sai, la mamma!... - disse Nedda.
- Me l'ha detto lo zio Giovanni -.
Ella non aggiunse altro, e guardò l'orticello al di là del muricciolo. I sassi umidicci fumavano; le gocce di rugiada luccicavano su di ogni filo d'erba; i mandorli fioriti sussurravano lieve lieve e lasciavano cadere sul tettuccio del casolare i loro fiori bianchi e rosei che imbalsamavano l'aria; una passera, petulante e sospettosa nel tempo istesso, schiamazzava sulla gronda, e minacciava a suo modo Janu, che aveva tutta l'aria, col suo viso sospetto, di insidiare al suo nido, del quale spuntavano tra le tegole alcuni fili di paglia indiscreti. La campana della chiesuola chiamava a messa.
- Come fa piacere a sentire la nostra campana! - esclamò Janu.
- Io ho riconosciuto la tua voce stanotte, - disse Nedda facendosi rossa, e zappando con un coccio la terra della pentola che conteneva i suoi fiori.
Egli si volse in là, ed accese la pipa, come deve fare un uomo.
- Addio, vado a messa! - disse bruscamente la Nedda, tirandosi indietro dopo un lungo silenzio.
- Prendi, ti ho portato codesto dalla città - le disse il giovane sciorinando il suo bel fazzoletto di seta.
- Oh! com'è bello! ma questo non fa per me!
- O perché? se non ti costa nulla! - rispose il giovanotto con logica contadinesca.
Ella si fece rossa, come se la grossa spesa le avesse dato idea dei caldi sentimenti del giovane, gli lanciò, sorridente, un'occhiata fra carezzevole e selvaggia, e scappò in casa; e allorché udì i grossi scarponi di lui sui sassi della viottola, fece capolino per accompagnarlo cogli occhi mentre se ne andava.
Le ragazze del villaggio sparlarono di lei perché andò a lavorare subito il giorno dopo la morte della sua vecchia, e perché non aveva messo il bruno; e il signor curato la sgridò forte, quando la domenica successiva la vide sull'uscio del casolare, mentre si cuciva il grembiule che aveva fatto tingere in nero, unico e povero segno di lutto, e prese argomento da ciò per predicare in chiesa contro il mal uso di non osservare le feste e le domeniche.
La povera fanciulla, per farsi perdonare il suo grosso peccato, andò a lavorare due giorni nel campo del curato, acciò dicesse la messa per la sua morta il primo lunedì del mese; e la domenica, quando le fanciulle, vestite dei loro begli abiti da festa, si tiravano in là sul banco, o ridevano di lei, e i giovanotti, all'uscire di chiesa, le dicevano facezie grossolane, ella si stringeva nella sua mantellina tutta lacera, e affrettava il passo, chinando gli occhi, senza che un pensiero amaro venisse a turbare la serenità della sua preghiera - ovvero diceva a se stessa a mo' di rimprovero che si fosse meritato: - Son così povera! - oppure, guardando le sue due buone braccia: - Benedetto il Signore che me le ha date! - e tirava via sorridendo.
Una sera - aveva spento da poco il lume - udì nella viottola una nota voce che cantava a squarciagola, e con la melanconica cadenza orientale delle canzoni contadinesche: Picca cci voli ca la vaju' a viju. A la mi' amanti di l'arma mia!...
- È Janu! - disse sottovoce, mentre il cuore le balzava dal petto come un uccello spaventato, e cacciò la testa fra le coltri.
E il domani, quando aprì la finestra, vide Janu col suo bel vestito nuovo di fustagno, nelle cui tasche cercavano entrare per forza le sue grosse mani nere e incallite al lavoro, con un bel fazzoletto di seta nuova fiammante che faceva capolino con civetteria dalla scarsella del farsetto, il quale si godeva il bel sole d'aprile appoggiato al muricciolo dell'orto.
- Oh, Janu! - diss'ella, come se non ne sapesse proprio nulla.
- Salutamu! - esclamò il giovane col suo più grosso sorriso.
- O che fai qui?
- Torno dalla Piana -.
La fanciulla sorrise, e guardò le lodole che saltellavano ancora sul verde per l'ora mattutina.
- Sei tornato colle lodole.
- Le lodole vanno dove trovano il miglio, ed io dove c'è del pane.
- O come?
- Il padrone m'ha licenziato.
- O perché?
- Perché avevo preso le febbri laggiù, e non potevo più lavorare che tre giorni per settimana.
- Si vede, povero Janu!
- Maledetta Piana! - imprecò Janu stendendo il braccio verso la pianura.
- Sai, la mamma!... - disse Nedda.
- Me l'ha detto lo zio Giovanni -.
Ella non aggiunse altro, e guardò l'orticello al di là del muricciolo. I sassi umidicci fumavano; le gocce di rugiada luccicavano su di ogni filo d'erba; i mandorli fioriti sussurravano lieve lieve e lasciavano cadere sul tettuccio del casolare i loro fiori bianchi e rosei che imbalsamavano l'aria; una passera, petulante e sospettosa nel tempo istesso, schiamazzava sulla gronda, e minacciava a suo modo Janu, che aveva tutta l'aria, col suo viso sospetto, di insidiare al suo nido, del quale spuntavano tra le tegole alcuni fili di paglia indiscreti. La campana della chiesuola chiamava a messa.
- Come fa piacere a sentire la nostra campana! - esclamò Janu.
- Io ho riconosciuto la tua voce stanotte, - disse Nedda facendosi rossa, e zappando con un coccio la terra della pentola che conteneva i suoi fiori.
Egli si volse in là, ed accese la pipa, come deve fare un uomo.
- Addio, vado a messa! - disse bruscamente la Nedda, tirandosi indietro dopo un lungo silenzio.
- Prendi, ti ho portato codesto dalla città - le disse il giovane sciorinando il suo bel fazzoletto di seta.
- Oh! com'è bello! ma questo non fa per me!
- O perché? se non ti costa nulla! - rispose il giovanotto con logica contadinesca.
Ella si fece rossa, come se la grossa spesa le avesse dato idea dei caldi sentimenti del giovane, gli lanciò, sorridente, un'occhiata fra carezzevole e selvaggia, e scappò in casa; e allorché udì i grossi scarponi di lui sui sassi della viottola, fece capolino per accompagnarlo cogli occhi mentre se ne andava.
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