Foto di Andrea Semplici.
da Marcovaldo – Italo Calvino
Autunno
19 II giardino dei gatti ostinati
Ora il filo si snoda per il marciapiede d'una via, in mezzo al traffico, e Marcovaldo correndogli dietro è ormai quasi arrivato ad afferrarlo. Si butta a pancia a terra; ecco, l'acchiappa! Era riuscito ad afferrare il capo del filo prima che sgusciasse tra le sbarre di un cancello.
Dietro un cancello mezz'arrugginito e due pezzi di muro rincalzati da piante rampicanti, c'era un piccolo giardino incolto, con in fondo una palazzina dall'aria abbandonata. Un tappeto di foglie secche copriva il viale, e foglie secche giacevano dappertutto sotto i rami dei due platani, formando addirittura delle piccole montagne sulle aiole. Uno strato di foglie galleggiava nell'acqua verde d'una vasca. Intorno s'elevavano edifici enormi, grattacieli con migliaia di finestre, come tanti occhi puntati con disapprovazione su quel quadratino di due alberi, poche tegole e tante foglie gialle, sopravvissuto nel bel mezzo d'un quartiere di gran traffico.
E in questo giardino, appollaiati sui capitelli e sulle balaustre, distesi sulle foglie secche delle aiole, arrampicati al tronco degli alberi o alle grondaie, fermi sulle quattro zampe e con la coda a punto interrogativo, seduti a lavarsi il muso, erano gatti tigrati, gatti neri, gatti bianchi, gatti pezzati, soriani, angora, persiani, gatti di famiglia e gatti randagi, gatti profumati e gatti tignosi. Marcovaldo capì d'essere finalmente giunto nel cuore del regno dei gatti, nella loro isola segreta. E, dall'emozione, quasi s'era dimenticato del suo pesce. Era rimasto, il pesce, appeso per la lenza al ramo d'un albero, fuori portata dei salti dei gatti; doveva essere caduto dalla bocca del suo rapitore in qualche maldestra mossa forse per difenderlo dagli altri, forse per sfoggiarlo come una preda straordinaria; il filo s'era impigliato e Marcovaldo per quanti strattoni desse non riusciva a liberarlo. Una lotta furiosa s'era intanto accesa tra i gatti, per raggiungere questo pesce irraggiungibile, ossia per il diritto di tentare di raggiungerlo. Ognuno voleva impedire agli altri di saltare: si lanciavano l'uno contro l'altro, si azzuffavano per aria, roteavano avvinghiati, con sibili, lamenti, sbuffi, atroci gnaulii, e finalmente una battaglia generale si scatenò in un turbine di foglie secche crepitanti.
Autunno
19 II giardino dei gatti ostinati
Ora il filo si snoda per il marciapiede d'una via, in mezzo al traffico, e Marcovaldo correndogli dietro è ormai quasi arrivato ad afferrarlo. Si butta a pancia a terra; ecco, l'acchiappa! Era riuscito ad afferrare il capo del filo prima che sgusciasse tra le sbarre di un cancello.
Dietro un cancello mezz'arrugginito e due pezzi di muro rincalzati da piante rampicanti, c'era un piccolo giardino incolto, con in fondo una palazzina dall'aria abbandonata. Un tappeto di foglie secche copriva il viale, e foglie secche giacevano dappertutto sotto i rami dei due platani, formando addirittura delle piccole montagne sulle aiole. Uno strato di foglie galleggiava nell'acqua verde d'una vasca. Intorno s'elevavano edifici enormi, grattacieli con migliaia di finestre, come tanti occhi puntati con disapprovazione su quel quadratino di due alberi, poche tegole e tante foglie gialle, sopravvissuto nel bel mezzo d'un quartiere di gran traffico.
E in questo giardino, appollaiati sui capitelli e sulle balaustre, distesi sulle foglie secche delle aiole, arrampicati al tronco degli alberi o alle grondaie, fermi sulle quattro zampe e con la coda a punto interrogativo, seduti a lavarsi il muso, erano gatti tigrati, gatti neri, gatti bianchi, gatti pezzati, soriani, angora, persiani, gatti di famiglia e gatti randagi, gatti profumati e gatti tignosi. Marcovaldo capì d'essere finalmente giunto nel cuore del regno dei gatti, nella loro isola segreta. E, dall'emozione, quasi s'era dimenticato del suo pesce. Era rimasto, il pesce, appeso per la lenza al ramo d'un albero, fuori portata dei salti dei gatti; doveva essere caduto dalla bocca del suo rapitore in qualche maldestra mossa forse per difenderlo dagli altri, forse per sfoggiarlo come una preda straordinaria; il filo s'era impigliato e Marcovaldo per quanti strattoni desse non riusciva a liberarlo. Una lotta furiosa s'era intanto accesa tra i gatti, per raggiungere questo pesce irraggiungibile, ossia per il diritto di tentare di raggiungerlo. Ognuno voleva impedire agli altri di saltare: si lanciavano l'uno contro l'altro, si azzuffavano per aria, roteavano avvinghiati, con sibili, lamenti, sbuffi, atroci gnaulii, e finalmente una battaglia generale si scatenò in un turbine di foglie secche crepitanti.
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