Antonia Pozzi - L'ora di grazia
Tetraggine lenta, sfinita
di un cortile umidiccio
in maschera di giardino;
ostentata verdezza
di un fico sterile
che non sa né il vento né il sole;
malinconia di una piccola finestra a ogiva,
di un ballatoio ingombro di foglie morte,
di un povero tralcio nero inchiodato al muro
che sopra al ballatoio si sfa
in quattro pampini vizzi.
Qui l'ora di grazia non può essere
se non l'ora delle campane:
quando la sera, cantando,
si getta dalle torri incombenti
e come acqua ricolma
ogni fossa terrena;
quando su ogni stento terreno
che duole in maschera di ricchezza
la sera, come acqua, riflette,
dal cielo al fondo, qualche raggio di stella.
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