Ambrogio
Lorenzetti - Allegoria del Buono e Governo e loro Effetti in Città,
affresco su parete, 1338/39. Palazzo Pubblico, Siena.
Se la Fortuna o ’l mondo - Frate Soppa Dè BostichiSe la Fortuna o ’l mondo
mi vuol pur contastare,
non me ne vo’ turbare,
anzi ringrazio il mio Signor giocondo.
Rallegromi pensando
che creato non fui brutto animale,
e non vo mareggiando,
né detto mi è “te’, te’ ”, né batto l’ale:
questa m’è grazia tale,
che tuttor chiamo osanna,
sì mi par dolce manna
ciò che mi dona e in allegrezza abondo.
L’uom nasce al mondo ignudo:
dunque ha d’avanzo ciò che poi acquista:
però non mi par crudo
se Fortuna mi batte o m’allista;
chi nel mondo s’ha lista
non si de’ conturbare,
però che ’l torre o ’l dare
tutto riserba al suo voler profondo.
Deh, quanta somma gloria
fu quella ch’ebbe Roma triunfante!
E già la sua memoria
ha spenta la Fortuna novercante.
Dunque che ci è costante?
ché Cesare e Pompeo,
Scipion, che rifeo
Roma, con gli altri, tutti sono al fondo.
Il possente Assuero
signor del mondo fu quant’altrui piacque;
e Alessandro altero
signoreggiò la terra, l’aria e l’acque,
e annullossi e tacque,
po’ che Fortuna volse
e la vita gli tolse
quella che tutte cose mena a tondo.
Dov’è Nembrot il grande,
che fece l’alta torre di Babelle?
Le braccia più non spande
per voler prender l’alto Manuelle.
Deh, quant’è amaro il melle
che ’l mondo dà e porge!
Deh, quante nuove forge
vegg’io mutare, ond’io sì mi confondo!
E infra gli altri assai
dov’è il cortese e ricco Saladino,
che non tornò già mai
poscia che Morte l’ebbe in suo dimino?
Così lungo cammino
fa ciaschedun che nasce,
sì che, folle!, erba pasce
chi di fermezza dice: “Qui mi fondo”.
Tristano e Lancilotto
sono iti, benché ancor lor fama vale.
Gli altri di Camelotto
per la Fortuna feciono altrettale.
Scende ciascun che sale
de la rota volgente
e non li vale niente
a dir “Fortuna, da te mi nascondo”.
O buon re Carlo Magno,
che per la fede nostra combattesti
e a sì gran guadagno
Orlando e Ulivier teco volesti,
or non par che si desti
il glorioso nome
che tenne alte le chiome
e si fece sentir per tutto il mondo.
Or dove son coloro
che ’l mondo alluminar con lor sapere,
Platone e Almansoro,
Ipocràs e Galieno e ’l lor potere?
Dov’è l’antivedere
d’Aristotil sovrano,
di Vergilio e Lucano?
Dove si sieno, a ciò non ti rispondo.
Dov’è la gran fortezza
ch’ebber le dure braccia di Sansone?
Dovè la gran bellezza
di Ginevra, d’Isotta e d’Ansalone?
Dov’è l’ardir che fone
in Ettorre e in Achille?
Dove son le gran ville
Troia e Gerusalem? Disperse al fondo.
Salamone il più saggio
dice ch’è vana ogni cosa terrena:
dunque è di vil coraggio
chi nell’avversità sua vita allena.
Questa parola affrena
ognun che ben la ’ntende,
sì che poco gli offende
dardo d’aversità o altro pondo.
Ben è saggio colui
ch’al sommo Giove l’animo dirizza
e sempre serve a lui
e per aversità già non s’adizza
e a torto non guizza
nel ben mondan ch’è nulla,
ma sempre si trastulla
a Dio servir con l’animo giocondo.
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