opera di Fernando Botero
da Cent’anni di
solitudine – Gabriel Garcìa Màrquez
(…)
Coloro che
conoscevano il segreto della sua filiazione pensarono da quella risposta che ne
fosse al corrente anche lui, ma in realtà non lo fu mai. Pilar Ternera, sua
madre, che gli aveva fatto ribollire il sangue nel gabinetto di dagherrotipia,
fu per lui un'ossessione tanto irresistibile quanto lo fu prima per José
Arcadio e poi per Aureliano. Nonostante avesse perduto le sue attrattive e lo
splendore della sua risata, lui la cercava e la trovava nella scia del suo
odore di fumo.
Poco prima della
guerra, un mezzogiorno in cui lei andò più tardi del solito a prendere suo
figlio minore a scuola, Arcadio la stava aspettando nella stanza dove usava
fare la siesta, e che più tardi diventò prigione. Mentre il bambino giocava nel
cortile, lui attese nell'amaca, tremando di ansietà, sapendo che Pilar Ternera
doveva passare di li. Arrivò. Arcadio la afferrò per il polso e cercò di
tirarla nell'amaca. "Non posso, non posso," disse Pilar Ternera
inorridita. "Non ti immagini come vorrei accontentarti, ma Dio è testimone
che non posso." Arcadio la afferrò per la vita con la sua tremenda forza
ereditaria, e sentì che il mondo svaniva al contatto della sua pelle. "Non
fare la santarellina," diceva. "In fondo, tutti sanno che sei una
puttana." Pilar dominò il ribrezzo che le ispirava il suo miserevole
destino.
"I bambini si
accorgeranno," mormorò. "È meglio che questa notte tu non sbarri la
porta."
Arcadio l'aspettò
quella notte rabbrividendo di febbre nell'amaca. Aspettò senza dormire,
ascoltando i grilli confusionari dell'alba interminabile e le ore scandite
implacabilmente dagli aironi, sempre più convinto di essere stato abbindolato.
Improvvisamente, quando l'ansia si era corrotta in rabbia, la porta si apri.
Pochi mesi dopo, davanti al plotone di esecuzione, Arcadio avrebbe rivissuto i
passi perduti nell'aula, le inciampate negli sgabelli, e alla fine la densità
di un corpo nelle tenebre della stanza e i battiti dell'aria pulsata da un
cuore che non era il suo. Stese la mano e trovò un'altra mano che aveva due
anelli su uno stesso dito e quasi naufragava nel buio. Sentì la nervatura delle
sue vene, il suo polso di sventura, e senti il palmo umido con la linea della vita
troncata alla base del pollice dall'unghiata della morte. Allora capì che non
era quella la donna che aspettava, perché non odorava di fumo ma di brillantina
di fior di campo, e aveva i seni gonfi e ciechi con capezzoli di uomo, e il
sesso petroso e rotondo come una noce, e la tenerezza caotica della
inesperienza esaltata. Era vergine e aveva il nome inverosimile di Santa Sofia
de la Piedad. Pilar Ternera le aveva pagato cinquanta pesos, la metà delle sue
economie di tutta la vita, perché facesse quello che stava facendo. Arcadio
l'aveva vista molte volte, dietro il banco della botteguccia di viveri dei suoi
genitori, e non si era mai accorto di lei, perché aveva la rara
virtù di non esistere
completamente se non nel momento opportuno. Ma da quel giorno si raggomitolò come
un gatto al calore della sua ascella. Lei andava alla scuola nell'ora della
siesta, col consenso dei suoi genitori, a cui Pilar Ternera aveva pagato
l'altra metà dei suoi risparmi. Più tardi, quando le truppe del governo li
sloggiarono dal locale, si amavano tra le latte di strutto e i sacchi di mais
del retrobottega. Verso l'epoca in cui Arcadio fu nominato capo civile e
militare, ebbero una figlia.
(…)
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