Artemisia Gentileschi – Giuditta che decapita Oloferne, 1620, olio su tela. Galleria degli Uffizi, Firenze
Vendetta
– Enzo Montano
(Artemisia Gentileschi – Giuditta che
decapita Oloferne)
Avvicinatasi
alla colonna del letto che era dalla parte del capo di Oloferne, ne staccò la
scimitarra di lui; poi, accostatasi al letto, afferrò la testa di lui per la
chioma e disse: «Dammi forza, Signore Dio d'Israele, in questo momento». E con
tutta la forza di cui era capace lo colpì due volte al collo e gli staccò la
testa.
dal Libro di Giuditta
La Bibbia e il Vecchio Testamento solo
un pretesto
e il generale Oloferne una
trasfigurazione:
è di Agostino sguardo impotente di chi
muore.
Lei, Giuditta/Artemisia, elegante come
in un giorno di festa,
un prezioso ornamento pare anche
l’elsa della spada.
Impassibile e austera, così è la
giustizia,
a dispetto del sangue che zampilla
che inzuppa il materasso divenuto un’Ara
sacrificale.
Non un omicidio è rappresentato nel
dipinto,
ma due donne impegnate in un atto che
deve essere compiuto.
Solo in due possono sopraffare la
colpevole forza bruta
e solo loro, donne, devono infierire sulla colpevole vittima.
Gli sguardi sono anch’essi lame
insanguinate
di disprezzo, rivolte alla fronte del
morente crtificandone il trapasso.
Nella teatralità del palcoscenico
barocco è compiuta
la vendetta uno stupro: sul tavolo
giace il mostro
la tagliente lama è nelle mani delle
vittime quotidiane.
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