1 novembre 2018

da “Il figlio maschio” – Giuseppina Torregrossa

Opera di Domenico Gnoli
da “Il figlio maschio” – Giuseppina Torregrossa

Filippo si accomodò su una poltrona, afferrò delicatamente la tazzina per il manico arricciato, osservò in controluce la trasparenza della porcellana bianca, quindi versò il caffè: era così forte che dal beccuccio non colò un liquido, bensì un distillato denso che si stratificò goccia a goccia. L’uomo poggiò appena le labbra sul bordo sottile e bevve a piccoli sorsi. Quindi si accese una Lido, aspirò e rimase a osservare il fumo condensarsi sotto la lampada di opaline.
Concettina dal canto suo si godeva quel momento di intimità, respirando il profumo del costoso dopobarba che il fratello comprava a Firenze. Scrutò il suo volto altero e dall’espressione distaccata, e si sentì felice.
«Che ci talìi?» domandò brusco Filippo. Lei arrossì e distolse subito lo sguardo. Seguì un lungo silenzio e l’uomo ne approfittò per raccogliere le idee. Lavorava molto, e di tempo per riflettere ne aveva davvero poco. Negli ultimi anni, gli erano successe tante di quelle cose. Aveva aperto e chiuso la bancarella di piazza Bologni, comprato una libreria a piazza Verdi, s’era fatto un discreto nome tra la borghesia palermitana, molti intellettuali si trovavano spesso nel suo negozio a discutere dei pochi argomenti ancora permessi. Certo, Concettina non era proprio la libraia ideale, troppo provinciale per stimolare la curiosità dei lettori e indirizzare i loro gusti. “Dovrei dedicare un po’ più di tempo alla libreria” pensava tra sé e sé, “ma come faccio? Non posso certo lasciare la rappresentanza della casa editrice, non adesso.”
Il signor Vallecchi in persona gli aveva mandato una lettera densa di complimenti. Ormai la sapeva a memoria: Caro signor Ciuni, so che ella è tra i più attivi ed efficaci collaboratori di questa Casa Editrice e desidero perciò farle giungere la mia parola di lode e di incitamento. Questa Casa non vuole essere una bottega di libri, ma una fucina di opere e di idee, per cui tutti coloro che ne fanno parte sono investiti da una missione spirituale che va molto al di là delle loro funzioni tecniche o commerciali. Ella ha dimostrato di avere compreso e sentito questa nobiltà del suo incarico e sono quindi sicuro che continuerà a dargli tutto se stesso per fare conoscere ed apprezzare presso i privati, gli enti e le autorità quello che la nostra Casa ha compiuto e si propone di compiere nell’interesse della scuola, della cultura e dell’arte italiana…
Quelle parole l’avevano colpito nel profondo e si sentiva obbligato verso la Vallecchi, ma ormai nutriva ben altre ambizioni. Perciò sentiva forte il bisogno di collaboratori colti ed esperti. E anche una signora moglie sarebbe stata utile da portare in società.
«Sono l’uomo più solo del mondo» gli scappò dalla bocca insieme a un sospiro.
«Ma che dici?» si stupì Concettina. «Ci sono io! E poi hai Maria, dove la trovi una che ti dà sempre ragione?»
Lui scosse la testa, i suoi capelli impomatati rimasero malinconicamente al loro posto.
«Sei una brava sorella, premurosa, gran lavoratrice. Sai fare i conti…»
Lei sorrise e si schermì. “Però di libri non capisci proprio niente.” Quest’ultima considerazione Filippo la tenne per sé. E riguardo Maria, quella ragazza che tutti ritenevano la sua fidanzata… be’, era poco più che un cucciolo di randagio, pronta a leccargli la mano e a compiacerlo. Non era di schiave che aveva bisogno lui, ma di una donna di alto livello, capace di intrecciare relazioni. Una come la contessa Luisa Saracinelli, per esempio: che donna, che eleganza! Alta, bella, formosa, l’aveva conosciuta a Firenze, proprio in casa editrice. Era stata lei a invitarlo nel suo appartamento per un tè. Dopo quel pomeriggio si erano visti altre volte. Nulla di compromettente, ma ne era nato un grande sodalizio intellettuale.

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