Carl Kahler - My Wife's Lovers
La stella Gatto –
Gianni Rodari
In quel tempo, a Roma, diverse persone andavano via con i gatti.
Pensatori che, a causa delle automobili, non trovavano più la quiete per pensare;
vecchi che avevano delle storie da raccontare, ma nessuno li stava a sentire e
in casa per loro non c’era più posto; donne rimaste sole in un appartamento
vuoto: pigliavano su e sparivano. Di loro non si
sapeva più nulla. Erano andati via con i gatti.
Come facevano? Questo si è saputo dopo, col tempo. Era una cosa molto semplice.
Si faceva, più che altro, in piazza Argentina.
Questa piazza è fatta così: tutt’in giro ci sono strade, palazzi,
automobili, filobus, chiasso, ma in mezzo alla piazza c’è uno spazio dove
stanno alcuni gloriosi ruderi romani, le rovine di due o tre tempietti, mezze colonne
rovesciate, praticelli, qualche pino, qualche cipresso. E i gatti.
Non ci possono andare le automobili, là dentro e laggiù, nei sotterranei ombrosi,
sotto i portici antichi. Come un’isola serena in mezzo al mare del traffico, da
cui la separano una cancellata e pochi gradini. Si scendono quei gradini e si è
in mezzo ai gatti. Sono molti, di tutte le razze.
Ci sono giovani cuccioli che giocano ad acchiappare lucertole e vecchi gattoni
che dormono tutto il tempo e si svegliano solo quando arrivano le «mamme dei
gatti», coi loro cartoccetti di avanzi per la cena. Ogni gatto si sceglie il
posto che più gli piace, si infila in una nicchia, si allunga ai
piedi di una colonna, si acciambella sui gradini di un tempio.
Quelle persone scendevano i gradini, scavalcavano la bassa cancellata, diventavano
gatti e cominciavano subito a leccarsi le zampe.
La gente che passava e guardava, mettiamo, dal finestrino di un filobus, vedeva
soltanto gatti. Poteva distinguere quello con un occhio acciaccato da una
sassata, quello che aveva perduto un orecchio in battaglia, il grigio, il
rosso, il tigrato, il nero. Ma non sapeva che tra quei gatti c’erano
dei gatti-gatti, nati di padre gatto e di madre gatta, e dei gatti-persone
che prima, nel mondo di su, erano stati funzionari al ministero delle poste,
capistazione, conducenti di autotreni o di tassì.
Veramente un modo per riconoscerli ci sarebbe stato. Per esempio, quando
arrivavano le «mamme dei gatti» c’erano dei gatti che si precipitavano a
disputarsi le frattaglie, le teste di pesce, le croste di formaggio, e questi
erano i gattigatti.
Ce n’erano altri che invece, senza parere, davano prima un’occhiata ai
brandelli di giornale in cui quegli avanzi erano stati avvolti. Leggevano un
mezzo titolo, dieci righe di una notizia strappata
sul più bello, guardavano la fotografia di una principessa che si
sposava. Così, mettendo insieme le loro osservazioni, si tenevano al corrente
delle cose del mondo di prima, sapevano quando il governo voleva aumentare le
tasse e se era scoppiata in qualche posto una nuova guerra.
In quel tempo andò via con i gatti anche la signorina De Magistris, una maestra
in pensione che non riusciva più ad andare d’accordo con sua sorella e se ne
andò via, lasciandole anche il suo amato gatto, che si chiamava Agostino. La
signorina De Magistris, nella sua lunga vita, aveva insegnato a leggere a
migliaia di bambini e aveva avuto decine di gatti, ma tutti di nome Agostino,
perché così si era chiamato il suo primo gatto, morto sotto il tram, e lei non
lo aveva mai dimenticato. Successero tante cose, tra i gatti, dopo l’arrivo
della signorina De Magistris.
Una sera essa spiegava le stelle al signor Moriconi, già netturbino ed
ora gatto nero con stella bianca sul petto. Altri gatti-persone e non pochi gatti-gatti
seguivano le sue spiegazioni, guardando per aria quando lei diceva:
- Ecco, là, quella è la stella Arturo.
- Ho conosciuto uno che si chiamava Arturo, - diceva il signor Moriconi,
- si faceva sempre prestare i soldi per giocare al lotto, ma non ha mai vinto.
- Vedete quelle sette stelle là, là e là? Quella è l’Orsa Maggiore.
- Un’orsa in cielo? - domandò, scettico, il gatto Pirata, un gatto-gatto
soprannominato così perché, come molti pirati della storia, era cieco da un
occhio.
- Anzi, - rispose la signorina De Magistris, - ce ne sono due: Orsa Maggiore
e Orsa Minore.
Anche di cani ce ne sono due: Cane Maggiore e Cane Minore.
- Cani, - sputò Pirata, con disprezzo. - Bella roba.
- Ci sono molte altre stelle con nomi di animali? - domandò il signor Moriconi.
- Moltissime. Ci sono il Serpente, la Gru, la Colomba, il Tucano,
l’Ariete, la Renna, il Camaleonte, lo Scorpione…
- Bella roba, - ripeté il Pirata.
- Ci sono la Capretta, il Leone, la Giraffa.
- Ma allora è proprio un giardino zoologico, - commentò il Pirata.
Un altro gatto-gatto, tanto timido che balbettava, soprannominato Zozzetto
- («zozzo», a Roma, vuol dire sudicio; ma Zozzetto non era sudicio per niente,
si lavava venti volte al giorno; valli a capire, i soprannomi…) - Zozzetto,
dunque, domandò:
- E c’è… cecè… c’è pu-pure il Ga-gatto?
- Mi dispiace, - sorrise la signorina De Magistris, - il Gatto non c’è.
- Fra tutte quelle stelle che si vedono, - fece il Pirata, - non ce n’è
una sola che porti il nostro nome?
- Nemmeno una.
Ci furono dei mormorii di disapprovazione e di protesta.
- Buona, questa…
- Scorpioni, millepiedi, scarafaggi, sí; gatti, niente…
- Contiamo meno delle capre?
- Siamo i figli della serva, noi?
Ma l’ultima parola, per quella sera, toccò al Pirata: - Non c’è che dire,
gli uomini ci vogliono proprio bene. Quando ci sono da pigliare i topi, micio di
qui, micio di là, ma le stelle le danno ai cani e ai porci. Mi caschi anche l’occhio
buono se da oggi in avanti tocco più un topo.
Passò qualche tempo. Ed ecco che un giorno il signor Moriconi lesse in un
pezzo di giornale odoroso di baccalà un titolo che diceva: «Gli studenti occupano
l’uni…»
In quel punto il giornale era strappato.
- E che cosa mai avranno occupato? - si domandò ad alta voce.
- L’università, - gli spiegò la signorina De Magistris, che, essendo
stata una maestra, sapeva tutto. - Non erano contenti di qualcosa e, in segno
di protesta, hanno occupato l’università.
- Ma occupato come?
- Penso che sia andata così: sono entrati, hanno chiuso le porte e hanno cominciato
a fare dei comunicati ai giornali, per far sapere che cosa vogliono.
- E… ecco, - balbettò Zozzetto, emozionatissimo.
- Ecco, e poi? - borbottò il Pirata.
- Ma sic… sicuro. co-cosí che do-dobbiamo fa-fare!
- Che cosa c’entriamo noi con l’università?
- Ma pe-per la ste… la ste…
- Ho capito, - interpretò il Pirata, - gli uomini non ci danno una
stella, noi in segno di protesta occupiamo… Già, che cosa occupiamo?
La conversazione diventò ben presto un tumulto. Gatti-gatti e
gattipersone, afferrata l’idea di Zozzetto, discutevano con entusiasmo il modo di
metterla in pratica.
- Bisogna occupare un posto in vista, che la gente se ne accorga subito.
- La stazione!
- No, no, niente disastri ferroviari.
- Piazza Venezia!
- Cosí ci arrestano perché intralciamo il traffico.
- La cupola di San Pietro!
- Sta troppo in alto, un gatto, là in cima, bisogna avere il binocolo per
vederlo. Anche stavolta l’ultima parola toccò al Pirata.
- Il Colosseo, - disse. E subito tutti capirono che quella era l’idea
giusta, che il Colosseo era il posto giusto da occupare.
Il Pirata prese subito il comando delle operazioni: - Noi dell’Argentina siamo
pochi. Bisogna avvertire anche i gatti dell’Aventino, del Palatino, dei Fori,
quelli del San Camillo…
- Si, quelli! Quelli non vengono, mangiano troppo bene.
Il San Camillo è un ospedale. Nei padiglioni ci stanno i malati, nei praticelli
e nei cespugli che circondano i padiglioni ci stanno i gatti. All’ora dei pasti
essi si schierano sotto le finestre, anche un quarto d’ora prima, e aspettano
che i malati gettino loro gli avanzi del pranzo e della cena.
- Verranno, - sentenziò il Pirata.
Difatti, vennero. Durante la notte vennero da tutta Roma, dai ruderi e dalle
cantine, dai luoghi illustri pieni di storia e dai vicoli pieni di immondizie,
vennero da Trastevere e da Monti, da Panico e dal Portico d’Ottavia, da tutti i
vecchi rioni del centro, dai villaggi di baracche della lontana periferia, a
centinaia, a migliaia, vennero i gatti e occuparono il Colosseo. Ogni arcata,
ad ogni piano, era occupata da una densa fila di gatti a coda ritta. Ce n’era
una fila compatta in cima, sulle pietre più alte. Erano visibili a occhio nudo
e a grande distanza.
I primi a vederli furono gli operai e i garzoni dei bar, che sono i primi
ad alzarsi, a Roma. Poi li videro gli impiegati statali, che vanno in ufficio
alle otto (poi dicono che i romani sono dormiglioni…). In pochi minuti si fece
una gran folla intorno al vecchio anfiteatro. I gatti stavano zitti zitti, ma
la gente no.
- E ched’è? ‘Na gara de bbellezza?
- ‘na parata: ha da esse la festa nazionale de li gatti.
- Anvedi quanti. Mo’ telefono a casa pe’ fallo sapere ar mio: quanno so’ uscito,
dormiva ancora. Ce vorrà venì lui puro.
Alle nove arrivò il primo gruppo di turisti. Volevano entrare al Colosseo
per visitarlo, ma l’ingresso era ostruito, tutti gli ingressi erano occupati dai
gatti, non si poteva passare.
- Fia, fia, pestiacce! Noi folere fetere Coliseo.
- Prutti catti, pussa fia!
Qualche romano ci si offese:
- Brutti gatti? Sarete belli voi! Ma senti ‘sti pellegrini!
Volarono parole grosse, stava per scoppiare una rissa tra romani e
turisti, quando una signora turista gridò:
- Pravi! Pravi micini! Fifa i catti!
Il fatto è che un momento prima la signorina De Magistris aveva dato il segnale,
e i gatti avevano spiegato e ora facevano sventolare una grande bandiera bianca
su cui avevano scritto: «Vogliamo giustizia! Vogliamo la stella Gatto!»
Romani e turisti, affratellati da una bella risata, applaudirono fragorosamente.
- E che, - gridò un vetturino borbottone, - nun ve abbastano li sorci, mò
ve volete magnà puro le stelle!
La signora turista, che era una professoressa di astronomia e aveva capito
di che si trattava, spiegò la questione al vetturino. Il quale borbottò,
convinto: - Be’, cianno raggione puro loro, povere bbestie.
Insomma, fu una magnifica occupazione e durò fino a mezzanotte. Poi le varie
tribú dei gatti si dispersero, a passi felpati, per la capitale addormentata.
La signora De Magistris, il Signor Moriconi, il Pirata, Zozzetto e tutti
gli altri gatti-gatti e gatti-persone dell’Argentina sfilarono silenziosamente per
via dei Fori, piazza Venezia, via delle Botteghe Oscure. Zozzetto, per la
verità, aveva qualche dubbio: - Ma o… ora la ste… stella
ce ce la da-danno o no?
Disse il Pirata: - Calma, Zozzetto, Roma non è mica stata fatta in un giorno.
Adesso sanno che cosa vogliamo, sanno che siamo capaci di occupare un Colosseo.
La cosa deve fare la sua strada, poco alla volta. Se ci danno la stella Gatto
subito, bene. Altrimenti avvertiremo i gatti di
Milano, e loro occuperanno il Duomo; prenderemo contatto con i gatti di Parigi,
e loro occuperanno la Torre Eiffel. Eccetera, mi sono spiegato?
Zozzetto, invece di rispondere, fece una capriola: a fare le capriole non
balbettava mica.
Il signor Moriconi, però, aggiunse: - Bene. Ma poi che non facciano scherzi.
La stella Gatto ce la debbono dare che sia proprio sopra piazza Argentina,
altrimenti non vale.
- Sarà cosí, - disse il Pirata. E come sempre l’ultima parola fu la sua.
Una storia chexadoro
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