Achille trascina il corpo di Ettore B. Pinelli, terracotta, 1833
Virgilio - Eneide, Libro II Era il momento in cui il primo riposo ai mortali stremati
incomincia, e s'insinua, gratissimo dono divino:
ecco che in sogno mi parve presente davanti ai miei occhi
Ettore, molto afflitto e in larga effusione di pianto,
come quel giorno che il carro lo trasse, di sangue e di
polvere
fosco, coi piedi rigonfi trafitti da cinghie di cuoio.
Ahi, qual era il suo aspetto! Quanto mutato da quello,
l'Ettore che ritorna indossando le spoglie di Achille
o che scaglia le fiamme frigie alle poppe dei Dànai!
Con la barba incrostata, e con grumi cruenti ai capelli;
e le ferite mostrava, che molte ebbe attorno alle mura
della patria! Per primo, piangendo, io stesso sembravo
interpellare l'eroe ed effondere meste parole:
«O luce della Dardània, speranza fidata dei Tèucri,
che grandi indugi ti tennero? Ettore, tu, l'agognato,
da che regioni a noi vieni? In che stato, dopo le molte
morti dei tuoi, e il vario penare di Troia e degli uomini,
te vediamo, sfiniti! Che causa indegna ha straziato
del viso i tratti sereni? O perché scorgo queste ferite?»
Lui nulla, e non indugia sulle mie vane domande,
ma, traendo dal fondo del petto un gravoso lamento:
"Ah, fuggi, nato da dea" dice, "e strappa te a queste
fiamme.
Il nemico è sui muri, dall'alto suo culmine Troia
crolla. Abbastanza si è dato a Príamo e alla patria: se
Pèrgamo
destra potesse difendere, questa l'avrebbe difesa.
È a te che Troia affida le sue sacre cose e i Penàti:
prendili al fato compagni, ricerca per loro le mura
grandi, che infine porrai, dopo aver molto errato sul mare".
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