Gianluca Corona - Natura morta
Naturalis historia, Libro XV, 77- 81 – Plinio il Vecchio
E’ venerato l’albero del fico nello stesso foro e nato a Roma nel luogo del comizio, sacro poiché erano state sotterrate qui le folgori e ancor più per il ricordo di quella pianta che, nutrice di Romolo e Remo, fondatori dell’impero per prima li ha coperti, chiamata ruminale, poiché sotto di essa fu trovata la lupa che offriva ai bambini la rumis (così chiamavano la mammella), vicino consacrato al prodigio un bronzo, come se fosse passato spontaneamente nel comizio con l’auspicio di Atto Navio. Non si secca senza un altro presagio e di nuovo è piantato per la cura dei sacerdoti. Ci fu anche davanti al tempio di Saturno, rimosso nell’anno 600 della città per una cerimonia fatta dalle Vestali, poiché danneggiava la statua di Silvano. Una stessa pianta per nascita casuale sta in mezzo al foro, dove Curzio aveva riempito le fondamenta sprofondate dell’impero per prodigio fatale con i massimi beni, cioè col valore e la pietà e una morte gloriosa. Nello stesso luogo ugualmente fortuita c’è una vite e un olivo, piantate per l’ombra dalla sollecitudine popolare, dopo che era stato tolto da lì l’altare durante lo spettacolo gladiatorio del Divino Giulio, che si combatté per l’ultima volta nel foro. Straordinaria è l’impazienza di questo frutto, l’unico fra tutti che giunge a maturazione con l’artificio della natura. E’ chiamato caprifico il fico del genere selvatico che non matura mai, ma che dà agli altri quello che lui stesso non ha, poiché c’è un passaggio naturale di cause e come avviene da ciò che imputridisce si genera qualcosa. Dunque genera zanzare; queste private del nutrimento nella pianta madre, imputridita per la sua decomposizione, volano verso (piante) conosciute e col frequente morso dei fichi, cioè con pasto più avido, aprendo le loro fenditure, penetrando così all’interno introducono con sé il sole dapprima e immettono le arie generatrici nei fori aperti. Poi succhiano il liquido latteo, cioè la fanciullezza del frutto, il che avviene anche spontaneamente, perciò nelle piantagioni di fico il caprifico è messo a causa del vento, affinché il soffio porti ciò che vola verso i fichi. Da qui si è scoperto come presi anche da altro luogo e uniti fra loro siano messi sul fico, cosa che non richiedono su un terreno magro e a nord, poiché si seccano spontaneamente per la disposizione del luogo e la funzione ad opera delle zanzare compie queste stesse cose con le fenditure, né dove c’è molta polvere, poiché avviene soprattutto in una strada percorsa affollata. Infatti anche per la polvere la forza di seccare e di assorbire il succo del latte. Questo sistema con la polvere e con la caprificazione offre anche questo che non cadono, poiché viene assorbito l’umore molle e pesante con una certa fragilità.
E’ venerato l’albero del fico nello stesso foro e nato a Roma nel luogo del comizio, sacro poiché erano state sotterrate qui le folgori e ancor più per il ricordo di quella pianta che, nutrice di Romolo e Remo, fondatori dell’impero per prima li ha coperti, chiamata ruminale, poiché sotto di essa fu trovata la lupa che offriva ai bambini la rumis (così chiamavano la mammella), vicino consacrato al prodigio un bronzo, come se fosse passato spontaneamente nel comizio con l’auspicio di Atto Navio. Non si secca senza un altro presagio e di nuovo è piantato per la cura dei sacerdoti. Ci fu anche davanti al tempio di Saturno, rimosso nell’anno 600 della città per una cerimonia fatta dalle Vestali, poiché danneggiava la statua di Silvano. Una stessa pianta per nascita casuale sta in mezzo al foro, dove Curzio aveva riempito le fondamenta sprofondate dell’impero per prodigio fatale con i massimi beni, cioè col valore e la pietà e una morte gloriosa. Nello stesso luogo ugualmente fortuita c’è una vite e un olivo, piantate per l’ombra dalla sollecitudine popolare, dopo che era stato tolto da lì l’altare durante lo spettacolo gladiatorio del Divino Giulio, che si combatté per l’ultima volta nel foro. Straordinaria è l’impazienza di questo frutto, l’unico fra tutti che giunge a maturazione con l’artificio della natura. E’ chiamato caprifico il fico del genere selvatico che non matura mai, ma che dà agli altri quello che lui stesso non ha, poiché c’è un passaggio naturale di cause e come avviene da ciò che imputridisce si genera qualcosa. Dunque genera zanzare; queste private del nutrimento nella pianta madre, imputridita per la sua decomposizione, volano verso (piante) conosciute e col frequente morso dei fichi, cioè con pasto più avido, aprendo le loro fenditure, penetrando così all’interno introducono con sé il sole dapprima e immettono le arie generatrici nei fori aperti. Poi succhiano il liquido latteo, cioè la fanciullezza del frutto, il che avviene anche spontaneamente, perciò nelle piantagioni di fico il caprifico è messo a causa del vento, affinché il soffio porti ciò che vola verso i fichi. Da qui si è scoperto come presi anche da altro luogo e uniti fra loro siano messi sul fico, cosa che non richiedono su un terreno magro e a nord, poiché si seccano spontaneamente per la disposizione del luogo e la funzione ad opera delle zanzare compie queste stesse cose con le fenditure, né dove c’è molta polvere, poiché avviene soprattutto in una strada percorsa affollata. Infatti anche per la polvere la forza di seccare e di assorbire il succo del latte. Questo sistema con la polvere e con la caprificazione offre anche questo che non cadono, poiché viene assorbito l’umore molle e pesante con una certa fragilità.
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