Arm of sofà - Domenico Gnoli
da “Gli indifferenti” – Alberto Moravia
Salirono ancora: si
udiva per la scala bianca, vuota, e illuminata, la musica del grammofono
risuonare lontana e fragorosa; nelle pause silenzio completo. S'indovinava
allora il salotto piccolo, i ballerini fermi in piedi sotto il lampadario
acceso, le risa, il movimento e negli angoli, presso le finestre, dietro le
tende, i complimenti ingenui... Al secondo pianerottolo entrarono.
Nel vestibolo, Leo si
tolse il cappello e il pastrano e aiutò Carla a liberarsi dell'impermeabile. Il
vestibolo era vasto e bianco, tre usci vi si aprivano, in faccia alla porta vi
era una gran finestra buia e rettangolare che senza alcun dubbio doveva
guardare verso una corte interna.
Passarono nel
salotto: "Mettiamoci qui" disse Leo additando un gran divano di pelle
pieno di cuscini. Sedettero: una lampada dal paralume rosso posata sopra un
tavolino li illuminava fino al petto, le loro teste e il resto della stanza
restavano nella penombra. Per un istante stettero immobili e non parlarono:
Carla si guardava intorno senza curiosità; i suoi occhi si posavano ora su
quella bottiglia di liquore là sul tavolino ora sulle pareti, come chi piuttosto
che osservare aspetta con ansietà una parola oppure un gesto; Leo ammirava
Carla:
"Ebbene, mia
cara," incominciò quest'ultimo finalmente, "cos'hai che non parli e
neppure mi guardi? Su, animo, dimmi quel che pensi, e se desideri qualche cosa
non far complimenti, domanda quel che vuoi, fa' come se tu fossi in casa tua.
Tese la mano, accarezzò con le dita il volto serio della fanciulla: "Non
ti dispiacerà mica" soggiunse senza ombra d'imbarazzo "d'esser
venuta?"
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