Dariusz Klimczak - Giraffa
da “Il racconto dell’ancella” – Margaret AtwoodSta suonando la campana. Qui il tempo è misurato da campane, come una volta nei conventi di suore. E, come anche nei conventi di suore, c'è qualche specchio. Mi alzo, mi muovo nella luce del sole, i piedi nelle scar-pe rosse senza tacchi, per risparmiare la spina dorsale e non per ballare. I guanti rossi sono posati sul letto. Li prendo, me li infilo, dito per dito. Tranne le alette che porto ai lati del viso, tutto è rosso: il colore del sangue, che ci definisce. La gonna scende sino alle caviglie, ampia, raccolta in uno sprone piatto che si allarga sul petto, le maniche sono lunghe. Anche le alette bianche sono dotazione obbligatoria; servono a impedirci di vedere, ma anche di essere viste. Il rosso non mi ha mai donato, non è il mio colo-re. Prendo il cesto della spesa, me lo infilo sul braccio.
La porta della stanza (non la mia stanza, mi rifiuto di dire mia) non è chiusa a chiave. Il battente non accosta bene. Esco nel corridoio lucidato, che ha una guida, al centro, di un rosa polveroso. Come un sentiero che attraversa la foresta, come un tappeto in una cerimonia regale, mi indica la strada.
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