4 febbraio 2019

da “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare” - Luis Sepúlveda

da “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare” - Luis Sepúlveda

Uscì sul balcone e aspettò pazientemente che una mosca arrivasse a tiro delle sue grinfie. Non tardò a catturarne una e la consegnò all’affamato.
Il piccolo prese la mosca nel becco, strinse, e chiudendo gli occhi la ingoiò.
«Buona pappa! Ancora, mamma, ancora!» stridette con entusiasmo.
Zorba saltava da una parte all’altra del balcone. Aveva preso cinque mosche e un ragno, quando dal tetto della casa di fronte gli arrivarono le voci note dei due gatti rissosi che aveva affrontato ormai vari giorni prima.
«Guarda, amico. Il ciccione sta facendo ginnastica ritmica. Con quel corpo chiunque è un ballerino» miagolò uno.
«Io credo che siano esercizi di aerobica. Ma che bel ciccione. Com’è flessuoso. Guarda che stile. Senti, palla di grasso, hai intenzione di presentarti a un concorso di bellezza?» miagolò l’altro.
I due poco di buono ridevano, al sicuro dall’altra parte del cortile.
Zorba avrebbe fatto assaggiare loro molto volentieri il filo dei suoi artigli, ma erano lontani, e così tornò dall’affamato con il suo bottino di insetti.
Il pulcino divorò tutte e cinque le mosche, ma si rifiutò di assaggiare il ragno. Soddisfatto, fece un ruttino, e si rannicchiò stretto stretto al ventre di Zorba.
«Ho sonno, mamma» stridette.
«Senti, mi dispiace, ma io non sono la tua mamma» miagolò Zorba.
«Certo che sei la mia mamma. E sei una mamma molto buona» rispose chiudendo gli occhi.
Quando arrivarono Colonnello, Segretario e Diderot, trovarono il piccolo addormentato accanto a Zorba.
«Congratulazioni! È un bellissimo pulcino. Quanto pesava quando è nato?» chiese Diderot.
«Che razza di domanda è? Non sono mica sua madre!» rispose Zorba.
«È quello che si chiede in questi casi. Non la prendere male. Si tratta davvero di un bellissimo pulcino» miagolò Colonnello.
«Terribile! Terribile!» esclamò Diderot portandosi le zampe anteriori alla bocca.
«Potresti dirci cosa è così terribile?» domandò Colonnello.
«Il piccolo non ha nulla da mangiare. È terribile! Terribile!» insiste Diderot.
«Hai ragione. Ho dovuto dargli delle mosche e credo che ben presto vorrà mangiare di nuovo» riconobbe Zorba.
«Segretario, cosa aspetta?» chiese Colonnello.
«Mi perdoni, signore, ma non la seguo» si scusò Segretario.
«Corra al ristorante e torni con una sardina» ordinò Colonnello.
«E perché proprio io, eh? Perché devo essere sempre io il gatto delle commissioni, eh? Va’ a bagnarti la coda nella benzina, va’ a cercare una sardina. Perché sempre io, eh?» protestò Segretario.
«Perché stasera, caro signore, avremo per cena dei calamari alla romana. Non le sembra una buona ragione?» spiegò Colonnello.
«E la coda mi puzza ancora di benzina… ha detto calamari alla romana…?» chiese Segretario prima di arrampicarsi sul tetto.
«Mamma, chi sono questi?» stridette il piccolo indicando i gatti.
«Mamma! Ti ha chiamato mamma! Ma è terribilmente tenero!» riuscì a esclamare Diderot prima che lo sguardo di Zorba gli consigliasse di chiudere la bocca.
«Bene, caro guaglione, hai tenuto fede alla prima promessa e stai mantenendo la seconda, ti resta solo la terza» dichiarò Colonnello.
«La più facile: insegnargli a volare» miagolò Zorba ironico.
«Ci riusciremo. Sto consultando l’enciclopedia, ma il sapere richiede il suo tempo» assicurò Diderot.
«Mamma! Ho fame!» li interruppe il piccolo

Traduzione di Ilide Carmignani

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