Strade di notte – Gaito Gazdanov
Come tutte le persone semplici ed emotivamente ingenui amava molto le descrizioni pompose, ragione per cui il destino di un conte magiaro o di un barone austriaco lo toccavano più delle sorti di un contadino russo. Ho notato spesso che la gente è attratta da mondi sfarzosi sconosciuti che , però, colpiscono inesorabilmente l’immaginazione.
All’epoca avevo un’idea piuttosto approssimativa di Parigi, e vista di notte la città mi impressionava; era come la scenografia di uno spettacolo gigantesco e quasi muto: le lunghe linee dei lampioni sui viali che si perdevano all’orizzonte, i loro riverberi morti sulla superficie immota del canale Saint-Martin, il brusio impercettibile delle chiome dei castagni, le faville azzurre sui binari del metrò quando usciva in superficie, sopra e non sotto le strade. Ora che conosco Parigi meglio di qualunque città russa, devo fare un grosso sforzo per rivederla com’era e come ormai non è quasi più. La periferia no, è rimasta tale e quale; non conosco nulla di più triste e straziante dei sobborghi operai parigini, dove anche l’aria pare intrisa della miseria secolare, disperata, in cui hanno vissuto e sono morte generazioni e generazioni di persone con un’esistenza che per quotidiano squallore non ha paragoni possibili se non con i dintorni dei boulevard de Sébastopol, dove da secoli incombe un fetore di marcio che impregna anche le case. La mia curiosità mi portava continuamente in quei posti, e più di una volta mi sono ritrovato a fare il giro dei quartieri di Parigi in cui vivono i più poveri tra i poveri, i rifiuti umani; a passare per la viuzza medievale che collega boulevard de Sébastopol a rue Saint-Martin e dove anche di giorno, sotto la tettoia di vetro di un alberghetto, trovi le lanterne accese e una prostituta sulla porta, con il viso violaceo e una stola spelacchiata al collo; sono stato in place Maubert, raduno dei cercatori di mozziconi e dei senzatetto di tutta la città, sempre sempre intenti a grattarsi lo sporco da un corpo che si intravede a stento sotto una camicia lurida all’inverosimile; e con il cuore stretto dalla pietà e dal ribrezzo sono stato anche a Mélinmontand, Belleville e Porte de Clignancourt. Tuttavia, non avrei saputo molto di ciò che so – e ne basterebbe la metà per indurire per sempre più di un cuore – se non avessi fatti il tassista. Ero già stato operaio, studente universitario e impiegato, avevo insegnato russo e francese, ma solo dopo essermi chiarito che erano occupazioni assolutamente inutili sostenni e superai l’esame di topografia parigina, presi la patente e ottenni la licenza.
Se avevo detto addio alla fabbrica non era per il troppo lavoro: ero sanissimo e non sapevo, o quasi, cosa fosse la stanchezza…
trad. Claudia Zonghetti
Come tutte le persone semplici ed emotivamente ingenui amava molto le descrizioni pompose, ragione per cui il destino di un conte magiaro o di un barone austriaco lo toccavano più delle sorti di un contadino russo. Ho notato spesso che la gente è attratta da mondi sfarzosi sconosciuti che , però, colpiscono inesorabilmente l’immaginazione.
All’epoca avevo un’idea piuttosto approssimativa di Parigi, e vista di notte la città mi impressionava; era come la scenografia di uno spettacolo gigantesco e quasi muto: le lunghe linee dei lampioni sui viali che si perdevano all’orizzonte, i loro riverberi morti sulla superficie immota del canale Saint-Martin, il brusio impercettibile delle chiome dei castagni, le faville azzurre sui binari del metrò quando usciva in superficie, sopra e non sotto le strade. Ora che conosco Parigi meglio di qualunque città russa, devo fare un grosso sforzo per rivederla com’era e come ormai non è quasi più. La periferia no, è rimasta tale e quale; non conosco nulla di più triste e straziante dei sobborghi operai parigini, dove anche l’aria pare intrisa della miseria secolare, disperata, in cui hanno vissuto e sono morte generazioni e generazioni di persone con un’esistenza che per quotidiano squallore non ha paragoni possibili se non con i dintorni dei boulevard de Sébastopol, dove da secoli incombe un fetore di marcio che impregna anche le case. La mia curiosità mi portava continuamente in quei posti, e più di una volta mi sono ritrovato a fare il giro dei quartieri di Parigi in cui vivono i più poveri tra i poveri, i rifiuti umani; a passare per la viuzza medievale che collega boulevard de Sébastopol a rue Saint-Martin e dove anche di giorno, sotto la tettoia di vetro di un alberghetto, trovi le lanterne accese e una prostituta sulla porta, con il viso violaceo e una stola spelacchiata al collo; sono stato in place Maubert, raduno dei cercatori di mozziconi e dei senzatetto di tutta la città, sempre sempre intenti a grattarsi lo sporco da un corpo che si intravede a stento sotto una camicia lurida all’inverosimile; e con il cuore stretto dalla pietà e dal ribrezzo sono stato anche a Mélinmontand, Belleville e Porte de Clignancourt. Tuttavia, non avrei saputo molto di ciò che so – e ne basterebbe la metà per indurire per sempre più di un cuore – se non avessi fatti il tassista. Ero già stato operaio, studente universitario e impiegato, avevo insegnato russo e francese, ma solo dopo essermi chiarito che erano occupazioni assolutamente inutili sostenni e superai l’esame di topografia parigina, presi la patente e ottenni la licenza.
Se avevo detto addio alla fabbrica non era per il troppo lavoro: ero sanissimo e non sapevo, o quasi, cosa fosse la stanchezza…
trad. Claudia Zonghetti
Nessun commento:
Posta un commento