Testa di Feronia - museo archeologico di Rieti
Vincenzo Monti - Feroniade Canto Primo
I lunghi affanni ed il perduto regno
di Feronia dirò, diva latina,
che del suo nome fe’ beata un giorno
di Saturno la terra. Ella per fiere
balze e foreste errò gran tempo esclusa
da’ suoi santi delubri, e molto pianse,
dai superbi disdegni esercitata
d’una diva maggior, che l’inseguìa,
finché novelli sacrifici ottenne
sugli altari sabini, e le fur resi
per voler delle Parche i tolti onori.
Ma qual de’ numi l’infelice afflisse,
e lei, ch’era pur diva, in tanto lutto
avvolgere potéo? Fu la crudele
moglie di Giove, e un suo furor geloso.
Tu che tutte ne sai l’alte cagioni,
tu le mi narra, o Musa, e dall’obblìo
traggi alla luce il memorando fatto
non ancor manifesto in Elicona.
E se dianzi di nuove itale note
l’ira vestendo del Pelìde Achille,
alcuna meritai grazia, o mercede,
su questi carmi, che tentando or vegno,
di quel nettare, o Dea, spargi una stilla,
che dal meonio fonte si deriva,
non già quando con piena impetuosa
gl’iliaci campi inonda, a tal che gonfi
dell’alta strage Simoenta e Xanto
al mar non ponno ritrovar la via,
ma quando, lene mormorando, irriga
i feacii giardini: e dolce rendi
su le mie labbra la pimpléa favella.
Là dove imposto a biancheggianti sassi
su la circéa marina Ansuro pende,
e nebulosa il piede aspro gli bagna
la pomezia palude, a cui fan lunga
le montagne Lepine ombra e corona,
una ninfa già fu delle propinque
selve leggiadra abitatrice, ed era
il suo nome Feronia. I laurentini
boschi, e quei che la fulva onda nudrisce
del sacro fiume tiberin, quantunque
di Canente superbi e di Pomona,
non videro giammai forme più care.
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