dipinto di Iain Faulkner
«Ho lasciato la Polizia perché erano troppe le notti in cui non sapevo più perché ero un poliziotto. Perché non credo agli eroi che vincono. Sono uno sconfitto, un uomo senza illusioni e senza avvenire. Un mito romantico, direbbe qualcuno. Una volta non ero così. Andavo matto per il cinema, ero appassionato di musical. Leggevo i vecchi romanzi e detestavo la letteratura contemporanea. Avevo una donna. A volte più d’una. Amavo il mare, il cassis, e i rosati provenzali. Avevo esperienza, sangue freddo, calma. Poi è cambiato tutto.»
«E com’è andata?» chiedo, ma ho quasi paura di interrompere il fluire del suo racconto. Benallal sta sparecchiando. Sbatte le stoviglie, ci passa davanti. Si vede che è nervoso per la nostra evidente disattenzione.
«È andata che mi sono arreso alla vita. Ogni giorno era un nuovo giorno, ma niente cambiava. Ho accettato il fatto che fuori ci sarebbe stato sempre odore di uova marce e né io né un altro potevamo farci niente. Si chiamava vita quel cocktail di odio e amore, di forza e debolezza, di violenza e passività. E mi stava aspettando. Avevo tempo, e bisogno di silenzio. Di poesia. A volte succede di incontrarla per caso. S’incrocia lo sguardo di una donna per strada e ci si volta nella speranza di incrociarlo di nuovo. Senza chiedersi se quella donna è bella, com’è fatto il suo corpo, quanti anni ha. Solo per quello che passa attraverso lo sguardo, in quell’istante. Sogno, attesa, desiderio.»
Nessun commento:
Posta un commento