da Il teatro della memoria – Leonardo Sciascia
l’11
marzo, l’agenzia giornalistica Stefani – forse la sola e comunque la più
accreditata che ci fosse in Italia – diramò un secco comunicato:
l’identificazione non «riposava» per nulla: ribolliva quotidianamente, con opposti e alterni esiti, nel manicomio di Collegno; né una semplice notizia aveva fatto il giro della penisola, ma un vortice di notizie: dividendo gli animi e agitandoli di ansietà, dando luogo a scommesse, inimicizie e zuffe. E del resto un comunicato così secco, così decisivo, appunto stava a dimostrare il contrario: che l’affaire agitava a tal punto gli italiani che il regime se ne preoccupava e in suo linguaggio raccomandava ai giornali di metterlo in sordina, se non addirittura sotto silenzio.
Non si può però affermare che in tutto il corso della vicenda abbia tenuto coerentemente questa linea, il regime fascista. Si può dire, anzi, che non ne tenne alcuna: lasciò che tutto andasse con le lungaggini, le cavillosità, i qui pro quo e gli inesauribili conflitti formali che eran propri, e sono, all’amministrazione della giustizia in questo nostro paese che si proclama culla del diritto ma certamente ne è bara. Del resto la vicenda serviva benissimo a distrarre l’attenzione degli italiani dal regime che andava consolidandosi duramente, assorbendo le ultime opposizioni o liquidandole.
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